Home In evidenza LE CITAZIONI: Guez. Maradona, el pibe de Dios

LE CITAZIONI: Guez. Maradona, el pibe de Dios

Olivier Guez

by Ernesto Scelza
0 comments

‘D10s’ è il capitolo citato dal libro che lo scrittore e sceneggiatore francese Olivier Guez dedica a Diego Armando Maradona: l’“aquilone cosmico” del titolo, il campione leggendario che, in sette anni a Napoli, dal 1984 al 1991, ne cambia la storia. “Questo libro sarebbe dovuto uscire nel maggio 2020. La sua pubblicazione è stata posticipata a causa della pandemia. Frattanto Diego Maradona è morto… Con lui scompare una certa idea del calcio, un calcio di carne e sangue, poetico, barocco e ambiguo. Potevi essere piccolo, grassoccio, e anche il miglior giocatore della storia; potevi tirare tardi nei locali e vincere la Coppa del Mondo. Maradona era una creatura fallibile. Era fuori norma eppure ci assomigliava. Ce l’aveva fatta e aveva fallito, aveva mentito, goduto, e barato, e aveva amato, aveva sofferto, e rimpianto, e viveva nel timor di Dio, e frequentava il diavolo. Ai tempi di Maradona il calcio era un’arte drammatica: rifletteva la condizione umana”. A questo calcio canaglia “è succeduto il calcio cyborg, corpi scolpiti, culto della plastica e dell’apparenza, maglie, club, giocatori irriconoscibili, discorsi e messe in scena asettici. ‘Money, money’… Abbiamo amato così tanto il calcio”.

 

«(Il 22 giugno 1986) l’Argentina si aggiudica la sua seconda Coppa del Mondo battendo la Germania Ovest in finale. Maradona è stato autore dell’assist della vittoria, a fine partita, nella semifinale aveva realizzato una doppietta contro il Belgio. In lacrime, con le braccia levate al cielo, prima di stringere il trofeo viene portato in trionfo sul campo dello stadio Azteca (Città del Messico, ndr). Il mondo è ai suoi piedi. Mai un giocatore ha a tal punto segnato la competizione del Mondiale, neanche Pelé, i cui compagni di squadra, nel 1958 e nel 1970, erano piú forti di quelli che circondavano Maradona in Messico. Il trionfo dell’Argentina non ammette contestazioni, questa volta nessuna ombra potrà offuscarla. In terra straniera, ha vinto la squadra migliore, trascinata da el 10, il miglior giocatore di tutti i tempi che ormai i compatrioti soprannominano D10S, il buon Dio, semplicemente.

Maradona ha incarnato in mondovisione i miti del calcio del suo paese. Ha finalmente concretizzato i sogni di grandezza dell’Argentina combinando astuzia e genialità, le leggendarie armi del pibe con le quali si identifica il suo popolo. Maradona ha realizzato l’impossibile, vincere un Mondiale ricorrendo alle sue trovate da monello sfrontato, improvvisate sui terreni abbandonati della bidonville dove è cresciuto. Ha riportato in auge la doppiezza dei guapos, l’epopea gauchesca, l’individualismo e l’indocilità, e segnando con la mano contro gli inglesi ha sfidato la legge, la Fifa e i potenti, come Martín Fierro, e come le madri di Plaza de Mayo. “E fu come rubare il portafoglio agli inglesi…” scriverà lo sfacciato nella sua autobiografia. Ha vendicato simbolicamente gli umiliati e i subalterni, di cui faceva parte. Di volta in volta artista, salvatore e Robin Hood, in quel mese di luglio 1986 Maradona è l’aleph dell’Argentina.

Ma Maradona è un dio fallibile… Dopo l’apoteosi le sue cattive passioni lo travolgono e provocano la caduta, che accelera nel periodo successivo alla Coppa del Mondo in Italia, quattro anni piú tardi, nella quale Maradona e i suoi sfiorano di nuovo la vittoria… Deve affrontare la giustizia, i media, la dipendenza dal sesso e dalla cocaina. Quando la Fifa lo sospende in pieno Mondiale americano, nel 1994, gli argentini scendono in piazza e piangono, il loro sogno finisce, come alla morte di Perón e allorché le loro truppe si sono arrese ai britannici alle Malvine. Continuano ad amarlo, nonostante le sue pecche, le sue scelte sbagliate e le sue contraddizioni. Dio è debole e commovente (…). Il suo cuore cede, il suo cuore ha le palpitazioni, allora frequenta gli ospedali psichiatrici, e i centri di disintossicazione nella patria dell’amico Fidel Castro. “È evidente che ho un filo diretto con il grande barbuto” (Dio, da non confondere con Fidel) dichiara dopo essere stato salvato in extremis per l’ennesima volta. Sfoggia spillette di Hugo Chávez, dà dell’assassino al presidente Bush e condanna il capitalismo, ma intasca milioni di dollari conducendo show televisivi e allenando una squadra a Dubai (…). Ingrassa e dimagrisce; sprofonda, risale e poi cade di nuovo, un eterno ricominciare, eppure il ribelle continua a vivere e a fumare grossi sigari nelle tribune vip degli stadi della Coppa del Mondo, alla faccia della Fifa. La sua salute sfida la medicina come l’Argentina tiene testa ai creditori, e alla globalizzazione razionale, standardizzata. Maradona e l’Argentina si divertono a sabotare sé stessi.»

Olivier Guez, Nel paese dell’aquilone cosmico.

Leave a Comment