La citazione è da ‘Le origini della civiltà repressiva (filogenesi)’, capitolo centrale di ‘Eros e civiltà’, uno dei testi più noti di Herbert Marcuse, in cui il filosofo tedesco, riparato negli Usa dopo l’avvento del nazismo in Germania, e riconosciuto come uno dei pensatori di riferimento del movimento di contestazione giovanile degli anni Sessanta del secolo scorso, afferma l’incompatibilità fra civiltà e felicità: “il progresso è fondato sulla repressione degli istinti, cioè vive della rinuncia alla felicità, della sottomissione di Eros”. Nonostante le conclusioni critiche, l’intento iniziale del filosofo era ottimistico: Marcuse si chiedeva se non fosse lecito prospettare all’uomo la possibilità di una società non repressiva, nella quale all’insincero benessere del consumo facesse seguito la felicità dell’Eros ritrovato.
«La cultura della civiltà industriale ha fatto dell’organismo umano uno strumento sempre più sensibile, differenziato, intercambiabile, e ha creato una ricchezza sociale sufficiente a trasformare questo strumento in un fine a sé stesso. Le risorse disponibili portano a un cambiamento ‘qualitativo’ dei bisogni umani. La razionalizzazione e la meccanizzazione del lavoro tendono a ridurre il quantitativo di energia istintuale incanalato in lavoro faticoso (lavoro alienato), liberando in questo modo l’energia necessaria a raggiungere gli obiettivi posti dal libero gioco delle facoltà individuali. La tecnica ha un effetto negativo sull’utilizzazione repressiva dell’energia, poiché riduce il tempo necessario alla produzione dei mezzi di vita, a vantaggio del tempo necessario allo sviluppo di bisogni ‘al di là’ del regno della necessità e dello sperpero necessario. Ma quanto più vicina è la possibilità reale di liberare l’individuo dalle costrizioni giustificate a suo tempo dalla penuria e dall’immaturità, tanto più grande diventa il bisogno di mantenere e di organizzare razionalmente queste costrizioni per evitare che l’ordine del potere istituito si dissolva. La civiltà deve difendersi contro lo spettro di un mondo che potrebbe essere libero. (…) Il totalitarismo si diffonde nella tarda civiltà industriale dovunque gli interessi del potere prevalgano sulla produttività, bloccando e facendo divergere le sue potenzialità. La gente deve venir tenuta in uno stato di mobilitazione permanente, interna e esterna. La razionalità del dominio è progredita al punto da minacciare di invalidare le proprie fondamenta; per questa ragione essa deve venir riaffermata più efficacemente di quanto sia mai avvenuto finora. Questa volta non ci sarà una uccisione del padre, nemmeno una uccisione ‘simbolica’ – perché potrebbe accadere che egli non trovi un successore.
(…) In cambio delle merci che arricchiscono la loro vita, gli individui non vendono soltanto il loro lavoro ma anche le loro ore libere. Il migliorato tenore di vita è viziato dal controllo che invade tutta la vita. La gente alloggia in concentrazioni di appartamenti, e possiede automobili private con le quali non può più fuggire in un mondo diverso. Si possiedono enormi frigoriferi carichi di cibi congelati. Si comperano dozzine di giornali e di riviste che divulgano tutte gli stessi ideali. Tutti hanno innumerevoli scelte, innumerevoli marche di fabbrica, che sono tutte della stessa qualità e li tengono occupati e fanno divergere la loro attenzione da quella che dovrebbe essere l’unica vera conclusione: rendersi conto che potrebbero lavorare meno e determinare i loro bisogni e le loro soddisfazioni da sé.»
Herbert Marcuse, Eros e civiltà.