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LE CITAZIONI: Marrone. “Un articolo impossibile da scrivere”

Titti Marrone

by Ernesto Scelza
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È l’inizio, sconvolgente, di Primmammore, il libro con cui Titti Marrone “torna sui cruciali anni Settanta napoletani, tra i più vivaci della sua storia, su cui tanti sono tornati e certamente ancora torneranno. Titti Marrone ne evoca il negativo della città (attorno a un tremendo caso di infanticidio) ma ne mette in rilievo anche le proposte alternative, ancora sul fronte dell’infanzia” (Goffredo Fofi). Il caso di cronaca rievocato dal giovane giornalista Marco è quello di una bambina di sei anni, abusata a lungo dal convivente della madre, che viene precipitata dall’ottavo piano di un casermone della periferia napoletana: “Alla fine del processo, per quell’uomo giudicato colpevole dell’omicidio della bambina e dei reiterati abusi sessuali precedenti, alla pena definitiva inflitta dalla Corte, dopo anni di indagini e udienze, si sarebbe potuta aggiungere questa punizione: fargli ascoltare e riascoltare infinite volte la deposizione dei medici legali. A lui e anche alla sua convivente, accusata di non aver impedito gli orrori. Per tutto il tempo di una carcerazione senza fine”.

 

«Marco disse a sé stesso… che sarebbe stato come affacciarsi su un pozzo scuro, protendersi sull’orlo di un incubo che ti può inghiottire. Perché si trattava di raccontare la quarta udienza del processo contro l’uomo accusato di essere lo stupratore e l’assassino di Nina, la bambina di sei anni scagliata giù dall’ottavo piano di un casermone alla periferia di Napoli. L’autopsia aveva rivelato “lesioni interne causate da abusi cronici visibili a occhio nudo”. In tribunale, il medico che l’aveva effettuata fu costretto a interrompere più volte la lettura, e a un certo punto disse che in tanti anni non gli era mai capitato di vedere uno scempio simile (…).

Al processo avevano detto che mentre cadeva, era viva. Era quindi sicuramente cosciente anche quando la mano dell’uomo l’aveva acchiappata, issata oltre la balaustra del terrazzo, tenuta sospesa per qualche istante e poi scagliata giù come un sacco di stracci vecchi. E allora Marco, per fare il dannato articolo, avrebbe dovuto immaginare, e poi trasferire sul foglio bianco, quello che forse aveva provato quella bambina mentre veniva sollevata. Forse aveva creduto che fosse un gioco? E se quell’uomo ne aveva fatti già altri, e tanti, per tanto tempo, e atroci, tra le sue gambette tenere, sulla sua pelle di latte, sul culetto soffice, aveva forse pensato che quella volta voleva solo metterle paura? Punirla perché lei aveva trovato il coraggio di strillare basta, che quel gioco durava da troppo tempo ed era bruttissimo? Farla volteggiare in aria per convincerla a stare zitta e poi posarla di nuovo a terra?

Invece. Invece quello l’aveva scagliata giù. La vestina le si doveva essere allargata come un piccolo paracadute, lei doveva aver sentito il vuoto ingoiarla, il cielo capovolgersi, l’alito dell’aria polverosa volteggiarle intorno e soffiarle sulla faccia, l’asfalto avvicinarsi sempre di più in una corsa inarrestabile.

E chissà se avrà avuto il tempo di fissare nello sguardo, come ultima immagine, la vista del sole di giugno, il suo splendore sontuoso nella beffarda promessa di una bella giornata. O forse, l’ultima immagine sarà stata la massa minacciosa del Vesuvio accovacciato là in fondo.

Fatto sta che la bimba era arrivata giù schiantandosi sul selciato come un fantoccio disarticolato, ancora viva, ma speriamo non più cosciente, per una serie interminabile di minuti.

Una gambetta ripiegata sotto il corpo come se fosse stata di gomma. Gli occhi aperti ma fermi e forse già ciechi, giusto con lievissimi sussulti delle palpebre, come una bambola di tanto tempo fa, di quelle con le pupille tonde e mobili (…).

Ora. I medici legali devono per forza scendere nei particolari, è il loro mestiere (…). Ma l’immaginazione non può avere accesso all’evocazione di certe cose. Per quanto sfrenata possa essere, non può spingersi in certi territori. E la mente vuole proteggere chi ha ascoltato. Vorrebbe chiudersi, non consentire la trasmissione delle parole dalle orecchie al cervello, perché la ragione non vuole accoglierle. Per questo Marco si diceva che non sarebbe riuscito a scriverle nell’articolo.»

Titti Marrone. Primmammore.

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