È, questa, la prima parte di una poesia de ‘Le terre emerse’ che Einaudi pubblica nel 2009. Il poeta Fabio Pusterla, già allievo di Maria Corti, vi celebra la fine dell’Europa, naufragata nella guerra di Bosnia e nell’assedio di Sarajevo. Nota Goffredo Fofi: Di Bosnia e di fine dell’Europa – dell’idea di Europa –, in un paesaggio ideale e materiale in macerie, parla Pusterla in ‘Lettere da Babel’: come in un videogioco, il sogno dell’Europa muore nella guerra in cui è nata: “Chiamala Europa, o mondo, o solo un altro sogno; e forse è l’ombra di un secolo e di un vuoto che abbiamo visto e sperato di cancellare con la gioia. Un pezzetto di gioia per ciascuno: era questo il disegno, niente di complicato.”
Dici di aver sognato un sogno orribile. In TV
ci vedevi morire sepolti tra macerie,
ed era lunga la scena, interminabile,
ripetuta più volte: il grande crollo della torre di
Babele, e noi là sotto, bianca polvere mediatica. Tu
venivi poi affidato a governanti severissime,
teutoniche o anglosassoni, cattive. Noi dispersi.
Aggiungi, ma non c’entra, che vorresti
forse impegnare i tuoi risparmi per un nuovo
videogioco che ha un nome sorprendente:
pandora tomorrow. E siccome
non sai nulla o quasi nulla di Pandora ti racconto
l’invidia degli dèi per noi imperfetti
testardi esseri umani,
mangiatori di pane, sensibili alla bellezza.
E ancora giorni si susseguono, viaggi,
e sempre quel tuo sogno mi accompagna,
in segreto, e non capisco perché; finché guidando
nel traffico tra Modena e Bologna,
mentre uno sciame di passeri
sale su da dietro un muro come un vento di mare,
anche le immagini cominciano a volare
in una sola direzione, come i passeri,
confuse eppure unite, non senza un po’ di grazia
e di paura. C’è qualcosa
di vero nel tuo sogno, una visione
nitida che ci sfugge. E per questo ti scrivo. Perché so,
adesso so, che siamo qui davvero, io e tua madre,
e ci teniamo per mano in mezzo a tutte
queste macerie
di una cosa che non è crollata ancora, ma vacilla
e forse un giorno crollerà.
Chiamala Europa, o mondo,
o solo un altro sogno; e forse è l’ombra
di un secolo e di un vuoto
che abbiamo visto e sperato di cancellare con la gioia.
Un pezzetto di gioia per ciascuno:
era questo il disegno,
niente di complicato. Un poco a tutti.
Da qui ti scriviamo,
e siamo in molti, segnati da riso e mestizia.
Altri parlavano
delle grandi vittorie, di rinascite. Noi sappiamo
da tempo: la sconfitta,
questo era il vero punto di partenza.
Dovere di memoria e di speranza,
diritto alla felicità sempre negata, sempre
da costruire. E la vergogna,
anche, da non dimenticare:
tutto ciò che era stato, e non doveva
essere mai, mai più. Ieri la voce
più alta di Sarajevo diceva, la mano sul cuore:
sono stato
parte di una speranza collettiva, era un progetto
da oceano a steppa, vasto come il vento,
ed è crollato. Posso solo
alzare la mano sinistra, nera di tristezza,
la destra non si apre più, chiusa in un grido
che salda le unghie alla carne,
la Bosnia all’Europa che cade.
Lettere da Babel.