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“Le frontiere del mondo”, di Andrea Bottalico

by Pietro Spirito
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Ora il mondo è racchiuso in uno smartphone e siamo entrati – da soli quindici anni – nell’era della rivoluzione digitale. Per arrivarci siamo passati attraverso la rivoluzione di una scatola in metallo – il container – che ha modificato in radice il capitalismo delle ciminiere nel capitalismo della logistica e della connettività.

Ci guida nel racconto di questa radicale trasformazione il libro di Andrea Bottalico, “Le frontiere del mondo. Viaggio nella filiera del container”, Edizioni dell’Asino, 2022. Con il piglio del ricercatore e con la curiosità del giornalista, l’autore ci accompagna dentro le banchine del Mediterraneo per comprendere i comportamenti degli attori di questa rivoluzione e per dare senso alla drastica inversione di senso che la diffusione del contenitore come mezzo di produzione logistica ha determinato nella organizzazione economica contemporanea.

L’invenzione del contenitore sta nella testardaggine di un ambizioso autotrasportatore della Carolina del Nord di origini scozzesi, McLean, che, inizialmente proprietario di un distributore di carburante durante la Grande Depressione, avviò con un solo camion un’azienda di trasporto di prodotti agricoli: l’impresa finì con avere una dotazione di oltre 2.000 camion e circa 30 terminali negli USA.

McLean capì che il vero business delle compagnie di trasporti non è gestire navi o treni, ma spostare la merce. Mentre era fermo con il suo camion in una banchina portuale in attesa di caricare cotone, andò a prendere sigarette ad un distributore automatico e – osservando i pacchetti di sigarette impilati –  si rese conto d’intuito che inscatolare la merce dentro una unità di carico avrebbe determinato un enorme risparmio di tempo a tutte le operazioni di trasbordo.

Industrializzò la sua idea, vendette l’azienda di trasporto su gomma e comperò una piccola compagnia marittima, adattando le due navi per il trasporto dei contenitori: inizialmente se ne potevano caricare 300 per ogni viaggio. Oggi sono 400 milioni i contenitori che girano il mondo per assicurare il trasporto di prodotti di ogni natura.

I porti sono la cerniera dominante di questa diversa articolazione dei poteri economici. Le banchine sono frazionate come tanti lotti di terra, date in concessione ad operatori logistici più avidi dei vecchi proprietari terrieri. Una volta ottenuta la concessione do una banchina, è come se si barricassero dentro alle stesse recinzioni che hanno alzato con l’aiuto dei loro agrimensori.

Il porto è una macchina inesorabile, una miniera infernale. E’ l’immagine stessa del capitalismo globale del ventunesimo secolo. A guidare il cammino del ricercatore c’è la saggezza di un professore tagliente ed arguto, Sergio Bologna: il trasporto delle merci è un gioco di prestigio opaco, nel quale è possibile incrociare una nave di proprietà greca, costruita in Corea, noleggiata da un operatore danese che impiega marinai filippini tramite un agente di equipaggi cipriota. La nave può essere registrata a Panama ed assicurata in Gran Bretagna, con merci affidate ad uno spedizioniere tedesco, attraverso terminal container portuali gestiti da operatori con sede a Singapore o a Dubai.

Il container non ha cambiato solo il volto del capitalismo, ma ha modificato anche i territori delle città portuali, mediante progetti che hanno sconvolto interi ecosistemi per creare terminal sconfinati, adatti ad accogliere il gigantismo navale che implica anche l’approfondimento dei fondali e la costruzione di dighe foranee sempre più lunghe per la protezione degli approdi.

Dentro i porti operano figure mutanti, che traggono origine da storie secolari. Il lavoro continua ad essere basato anche sulle compagnie portuali, organizzazioni di lavoratori che per decine e decine di anni hanno condizionato l’operatività delle banchine.

Dall’inizio del Novecento, quello che era un sistema di reclutamento da caporalato si è modificato in una struttura cooperativa, capace per lunghi tratti di dettare legge nella organizzazione del lavoro. Con l’avvento del fascismo, il nuovo codice della navigazione disciplinò le cooperative, chiamandole compagnie e mettendo alla testa una persona imposta dal regime, il console. Sino all’avvento del container, il lavoro portuale era in una posizione di forza rispetto alla merce.

La disintermediazione determinata dall’automazione dei processi nel passaggio della merce dalla nave alla banchina, mediante il contenitore, ha modificato radicalmente questo panorama, svuotando per buona parte il potere delle compagnie portuali, che da allora hanno cominciato ad arretrare, pur mantenendo in alcuni porti una posizione di persistente peso nell’organizzazione delle attività.

Con l’avvento dei contenitori la merce è scomparsa dentro la scatola ed è cominciato il regno della invisibilità. Questa trama sottile è la ricerca di Andrea Bottalico, che ci conduce nei porti di Genova, Gioia Tauro, Marsiglia, Beirut, Anversa, Rotterdam, alla ricerca della logica che guida i percorsi della merce e che orienta i comportamenti dei padroni della merce, gli operatori logistici del settore marittimo e terrestre, che hanno costruito la rete delle connessioni attraverso la quale si svolge l’articolazione del moderno capitalismo della mobilità.

E’ un capitalismo muto, come nelle migliori tradizioni finanziarie. Un tempo erano noti i silenzi di Enrico Cuccia, che teneva le fila del sistema proprietario del grande capitalismo italiano, determinandone le sorti senza mai spiegare le origini delle sue decisioni.

Oggi vale lo stesso con il Comandante Aponte, mai citato con il cognome nel libro proprio per dare maggiore forza evocativa al potere del silenzio. La sua compagnia marittima (MSC) è presente in più di trecento porti di tutti i continenti e su almeno duecento rotte commerciali. Il suo impero marittimo è costituito da parenti ed amici. Si dice che la metà circa degli oltre 20mila lavoratori del gruppo sia originaria della Campania.

Andrea Bottalico cerca in ogni modo di avere un colloquio con uno dei grandi architetti della logistica contemporanea. Non ci riuscirà, nel corso di tutto il suo itinerario, pur cercandone le tracce come Pollicino attraverso le briciole che restano nei passaggi del Comandante nei vari porti toccati da questa esperienza.

E questa figura assente, eppure sempre incombente negli scali raccontati durante questo itinerario, illustra con grande efficacia il nuovo potere delle poche grandi multinazionali che governano l’industria globale dei container, ma anche il sistema logistico mondiale nel suo insieme.

E’ il nuovo capitalismo della mobilità di cui mi sono occupato nel mio recente libro. Con questa tentacolare potenza economica della merce invisibile occorre fare i conti, per comprendere soprattutto che il potere della logistica ed il potere digitale stanno convergendo verso un modello unitario di gestione dell’economia e della società.