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L’INCHIESTA. Brucellosi bufalina in Campania 2: le origini

by Pietro Spirito
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La brucellosi bufalina in Campania non è solo una storia di malasanità, ma di riorganizzazione del capitalismo agricolo.

 

2. Le origini della crisi sanitaria della brucellosi.

Cerchiamo di comprendere le ragioni che hanno determinato questa terribile mazzata ad un comparto economico molto rilevante per il territorio casertano. Nel 2014 le autorità sanitarie regionali della Campania hanno deciso, pur in presenza della malattia con tassi elevati di diffusione, di sospendere il vaccino; contemporaneamente, i controlli dell’ASL sulla brucellosi nelle aziende non sono stati eseguiti nei tempi previsti dai protocolli, ovvero ogni 6 mesi, ma hanno avuto ritardi fino a 2 anni.

Secondo le regole delle organizzazioni sanitarie mediche internazionali, il vaccino entra nel protocollo condiviso sulla brucellosi quando il tasso di incidenza delle bufale colpite supera il 2% dei capi. Come accade per l’inflazione, esiste una soglia superata la quale scatta un obbligo di intervento. Non si tratta ovviamente di uno strumento pienamente risolutivo, ma certamente contribuisce alla eradicazione della malattia, assieme ad una stringente sorveglianza sanitaria.

In Campania però le cose non sono sempre andate così. Anche nel 2007, quando il Governo Prodi dichiarò lo stato d’emergenza in provincia di Caserta a causa delle infezioni e nominò un commissario, gli abbattimenti non figuravano come l’unica soluzione al problema.

In quella occasione fu predisposto un nuovo Piano di eradicazione che, sotto la supervisione e il coordinamento dell’Istituto Zooprofilattico di Teramo, puntava principalmente alla prevenzione, mediante la sorveglianza continua e totale degli allevamenti presenti, e alla vaccinazione obbligatoria sugli animali impuberi (cioè che non avevano raggiunto la fase di maturazione sessuale) nelle aree considerate ad alto rischio.

L’infezione da brucellosi calò così dal 18 per cento a poco più dell’un per cento. Di converso, nel 2014 le cose cambiarono, la fase della gestione commissariale finì e la responsabilità passò nelle mani di una task force regionale, che opera ancora oggi, con i risultati resi noti di recente dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere. Ecco il motivo per cui gli allevatori casertani chiedono all’Europa l’obbligatorietà della vaccinazione, all’Italia l’uso dei test post-mortem sugli animali ancora in vita e alla magistratura un atto di giustizia.

Il ribaltamento di questa impostazione, che aveva invece registrato un clamoroso successo negli anni immediatamente precedenti, ha determinato nei territori dove esistevano ancora piccoli focolai di brucella, la rapida diffusione della malattia nel giro di 5-6 anni. Molto probabilmente l’origine diffusiva del virus sta in questa doppia decisione di tipo amministrativo.

Anche successivamente, le scelte di politica sanitaria per la eradicazione della brucellosi si sono dimostrate, nel casertano, totalmente catastrofiche, e non hanno nemmeno comportato alcun ripensamento nel corso di questi anni. Gli unici provvedimenti che hanno lenito la sofferenza drammatica del settore sono state le risorse comunitarie per i ristori ai produttori, pur se non è del tutto chiaro quanta parte vadano direttamente ai danneggiati e quanta alla burocrazia sanitaria regionale. Più di recente, la prima legge di Bilancio del Governo Meloni ha istituito, al ministero dell’Agricoltura, un fondo di due milioni di euro per il ristoro delle aziende bufaline danneggiate dalla diffusione della brucellosi e della tubercolosi.

Il provvedimento, tuttavia, è la prova provata che l’Italia, a differenza degli altri Paesi europei, non è ancora riuscita a debellare tali infezioni. La provincia di Caserta e la parte nordorientale della Sicilia sono dichiarate infatti zone non indenni dalla malattia. Risalire alle cause di questo fallimento è più complicato di quel che si pensa, perché questa non è una semplice storia di insuccessi politici o di interessi personali.

Ma questo intreccio inestricabile come un film giallo con troppi assassini è la storia di uno dei patrimoni dello Stato italiano che rischia di essere azzerato da un groviglio di leggi europee, statali e regionali. L’indirizzo dominante è guidato da un principio di precauzione senza appello, in nome del quale si abbattono migliaia e migliaia di capi. Anche sani.

 

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