L’impressione è che proceda a tentoni. Strappi e ricuciture, stop and go. Tanto che i protagonisti della politica mondiale e gli stessi analisti fanno non poca fatica a stargli dietro. Soprattutto a capirne la logica.
Parliamo dei primi passi della presidenza Trump. Qualcuno dubita finanche che ci sia una logica nelle deliberazioni di Donald Trump, specie in politica estera, e si chiede se la sua imprevedibilità non sia sintomo di mera irrazionalità emotiva piuttosto che di scelte politiche.
Da un giorno all’altro il tycoon, che governa lo Stato più potente del mondo, passa dalle dichiarazioni d’amore a Putin a dargli del matto. Dagli anatemi scagliati contro gli ayatollah dell’Iran alla ricerca di intese con gli stessi. Dagli impensabili dazi imposti alle importazioni dal resto del mondo alle intese commerciali. E via narrando.
Se il capo di uno qualsiasi dei governi europei, e forse non solo di quelli europei, agisse allo stesso modo, sarebbe abbandonato in breve tempo dal suo elettorato. Non così negli USA, specie nell’America profonda del MidWest, dove si concentra il grosso del suo bacino elettorale. E non che i suoi elettori diano da matti alla stregua del loro presidente. È che riconoscono nelle sue scelte una logica che noi europei facciamo fatica a individuare.
La politica dell’attuale inquilino della Casa Bianca va in una duplice, convergente direzione. Come due rotaie di un binario: isolarsi dal resto del mondo, salvo che difendere gli interessi vitali, suoi e dell’America, eventualmente minacciati; e accrescere la ricchezza degli USA. MAGA appunto.
Cominciamo da quest’ultimo proposito. L’America può diventare più ricca se è guidata da chi sa come si fa ad arricchirsi, e lo ha dimostrato con la sua fortuna personale. Questo è l’assunto ampliamente condiviso dall’elettorato maggioritario degli USA. E chi meglio di Trump e di Elon Musk ne potrebbe essere l’idealtipo? Chi in questo secolo ha saputo arricchirsi come, più e meglio di loro? I Bezos, Zukerberg e compagnia miliardaria bella coerentemente si sono ritrovati e tuttora si riconoscono nella politica di DT, il tycoon per antonomasia. Potrebbero sfilarsi dalla cordata solo per interessi commerciali, ma politicamente stanno sulla stessa linea. Né l’elettorato popolare si turba più di tanto della commistione tra affari di stato e affari privati. In fondo, ‘gli affari privati sono un bene comune’. Fanno bene alla società.
Lo raccontava un trentennio fa e tuttora lo racconta Robert G. Kennedy (non lo si confonda con Robert F. Kennedy, attuale membro del Governo USA), tra le menti più vivaci della Fondazione Acton, una delle congreghe catto-tradizionaliste più influenti negli USA. Il suo ‘Il bene che fanno gli affari’ è del 2006. Scritto con finalità riassuntive e divulgative di sue precedenti ricerche, lo esplicita con chiarezza: “…se una persona o una comunità godono di abbondanza e prosperità sono da considerarsi benedette dal Signore […] È un solenne obbligo cristiano provare non solo a distribuire la ricchezza, ma anche crearla”. E noi italiani siamo ben in grado di comprendere questa logica. Il nostro ‘cavalier Berlusca’, proprio tra fine secolo ed inizi del duemila, mentre negli USA la Fondazione Acton diffondeva queste idee, ne fece il fulcro delle sue campagne elettorali. E della sua peculiare commistione tra affari e politica.
Eppure la Fondazione Acton e i catto-tradizionalisti USA sono finanche moderati a fronte degli evangelici di tutte le sette, per i quali non solo la ricchezza di una persona è il segno della grazia del Signore su di essa, ma per converso la povertà è il segno di una sorta di maledizione divina. E attenzione, il 41% dei cittadini statunitensi si dichiarano cristiani evangelici. I cattolici, diciamoli ‘bergogliani’ per capirci, sono una minoranza anche tra i cristiani.
Il Trump dunque, che solo nell’ultimo mese tra criptovaluta e acquisizioni immobiliari, tra le quali hotel e golf club, ha arricchito la sua famiglia di due miliardi di dollari; quel Trump che ha ricevuto in dono dal Qatar, Paese una volta considerato membro dell’Asse del Male e tuttora finanziatore di Hamas, un aereo presidenziale del valore di 400 milioni di dollari; lo stesso Trump che ha fondato un Club privato, l’Executive Branch, al quale i soci possono accedere solo versando una quota di iscrizione di 500mila dollari a cranio; ebbene questo Trump agli occhi della maggioranza degli americani è un unto del Signore. Lo ha dimostrato inequivocabilmente la mira sbagliata dell’attentatore del 13 luglio ‘23 in Pennsylvania. Dio è con lui e lui porterà l’America nell’età dell’oro!
Quanto alla politica estera, tra carezze e schiaffi, ora a Zelenskij e agli scrocconi alleati europei, ora a Putin, ora ai Palestinesi e ora a Netanyahu o a Mohammed al-Bashir, c’è un filo conduttore: gli USA si stanno ritirando nell’emisfero occidentale, quello che accade nel resto del mondo non sarà più affare loro. L’UE, alleata tradizionale di Washington ed ora minacciata dal secolare espansionismo russo, se la cavi da sola, l’America non spenderà le sue risorse e non rischierà i suoi uomini per un conflitto che non la riguarda. Così per altri teatri della guerra mondiale a pezzetti.
Quelle che sembrano contraddizioni nell’azione estera della Casa Bianca sono dunque leggibili come passaggi graduali per raggiungere l’obiettivo, ritrarsi nello spazio geo politico che fu perimetrato già nel 1823 da James Monroe, quello che sta a occidente del meridiano di Greenwich.
Qui, in questa fetta di pianeta, dall’Artico all’Antartide, ci sono tutte le materie prime che necessitano, a cominciare da quelle energetiche, tutta la forza lavoro, tutte le tecnologie e le conoscenze. Se le Americhe, che nella considerazione di Trump vanno dalla Groenlandia alla Terra del Fuoco, non si faranno trascinare nei conflitti dell’emisfero orientale e non spenderanno soldi per concorrere alla solidarietà verso i poveri del pianeta extra-americano, l’età dell’oro sarà presto una realtà.
Gli elettori USA leggono bene questa logica. E l’approvano.