fbpx
Home COVID 19 Le quattro D di Milano

Le quattro D di Milano

by Luca Rampazzo
0 comment
milano

Nonostante mai si sia persa la libertà di andare alla banca o alla posta, Milano è oggettivamente col fiato sospeso. Una città così dinamica mal sopporta anche gli arresti domiciliari. Quindi, anche se solo col pensiero, si prepara a ripartire. Fontana detta la linea, a guidarci saranno le quattro D.

“Abbiamo lanciato la via lombarda per la libertà, un programma per riaprire le attività dal 4 maggio. Si tratta di adeguarsi alla ‘nuova normalità’ che passa dalle quattro D: Distanza (almeno un metro di sicurezza tra le persone). Dispositivi (obbligo di utilizzare le protezioni per tutti). Digitalizzazione (smart working obbligatorio per tutti coloro che possono). Diagnosi (test sierologici, grazie alla ricerca del San Matteo di Pavia).”. Questo perché, oggettivamente, ripartire impone anche sfide nuove. E difficili.

Dove lascio il pargolo?

All’inizio dell’emergenza le aziende sono state caldamente invitate a far consumare le ferie ai dipendenti. Cosa che, cavallerescamente, hanno senza dubbio o timore fatto. Adesso, però, si pone il tema dell’estate (e della primavera con i figli a casa da scuola): cosa ne facciamo dei bambini? O dei ragazzi, se è per quello. Per i primi non è praticabile pensare di lasciarli mesi interi con le babysitter. Prima di tutto per un fatto di costi. E poi anche la reperibilità non è illimitata. I secondi bisognerebbe evitare che si cacciassero nei guai. E soprattutto in periferia la cosa non è scontata. Con il rischio che la mobilità nazionale sia ancora ridotta, una soluzione andrà trovata. Probabilmente rispolverando soluzioni antiche, come le colonie. Oppure appoggiandosi a parrocchie e scuole. Dal Veneto viene la provocazione dell’assessore all’Istruzione, Elena Donazzan, che ha già precettato gli insegnanti. Prontamente stoppata dal ministro Azzolina. In ogni caso vedremo, ma il tema esiste e non è secondario per ripartire.

Io ti conosco, mascherina.

No, non ce ne sono ad oggi per tutti. Ma tutti dovranno averla, almeno all’inizio. E come si farà a risolvere la questione delle mascherine? Al momento non è chiaro. Certo, la Regione ha un accordo con la Fippi di Rho per produrne un milione al giorno del tipo quasi chirurgico. Se gestite bene potrebbero bastare, ma i costi? Non sono da poco, se le vogliamo usare bene. Cambiandola una volta al giorno (al rientro a casa) sono 600 euro al mese (costo delle mascherine chirurgiche in farmacia), coi prezzi di crisi. Quelle lavabili hanno dei rischi notevoli. Insomma, la questione esiste. Anche lo smaltimento non sarà possibile da ignorare. Ci vogliono delle filiere apposite se non vogliamo rischiare focolai tra gli operatori AMSA.

Il virus si è mangiato i tavoli.

Una cosa che non si potrà evitare, nemmeno con l’usuale creatività Milanese, sarà la strage dei tavoli. I locali di Milano, tradizionalmente, sono abbastanza piccoli (per contenere i costi fissi) e questo porterà a numeri di clienti molto più ridotti. L’asporto continuerà a dominare la scena. E chi non potrà adeguarsi, probabilmente, chiuderà. La vera incognita è cosa lo sostituirà. Milano, per quanto la sua grandeur possa ostinarsi a negarlo, è una città piccola, compatta, senza larghi spazi. I plateatici non possono crescere all’infinito. Assisteremo quindi alla nascita, probabilmente, di cene esperienziali. Un modo molto milanese per dire che i pochi che troveranno un tavolo lo pagheranno caro, ma avranno un sacco da raccontare agli amici meno fortunati. Questo almeno secondo i ristoratori che abbiamo consultato. Quelli che hanno smesso il turpiloquio abbastanza a lungo per esprimere un concetto razionale, almeno.

I diritti acquisiti verranno rapidamente ceduti.

La settimana di cinque giorni da Lunedì a Venerdì diverrà la reliquia di tempi migliori, ormai dimenticati. Si lavorerà 7/7 per consentire di frazionare i turni. E le otto ore saranno dilazionate per evitare assembramenti in metropolitana. Come si riuscirà ad ottenere tutto questo non è ancora chiaro, di sicuro c’entrerà molto la tecnologia. Che darà la possibilità di gestire i dipendenti pubblici e quelli delle grandi aziende. I piccoli ed i consulenti si spera seguano. Ma siamo ancora all’inizio. E purtroppo sarà uno dei temi dirimenti. La situazione politica è così tesa che al secondo giorno di ingorgo umano in metropolitana si rischia di chiudere tutto.

Mantenere i nervi saldi.

Alla fine, il discrimine tra un successo e l’ennesimo disastro di questa epidemia sarà solo questo: la capacità di mantenere i nervi saldi. I dati dei primi giorni di apertura riguarderanno i dieci giorni precedenti. Quindi se si dovesse avere la sfortuna di assistere ad un picco, bisognerebbe stringere i denti e andare avanti. Il condizionale è d’obbligo. Lo scenario più probabile sarebbe una falsa partenza. Questo, però, potrebbe causare un effetto devastante, facendo tremare i decisori di terrore di fronte ad un nuovo tentativo. Vedremo. Di sicuro, anche come immagine, Milano non si può permettere di sbagliare la prima stavolta.