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Non chiamiamola più Terra dei fuochi

by Francesco Pirozzi
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Un’ampia parte del territorio della Regione Campania, in particolare quella posta a cavallo delle Province di Napoli e di Caserta, da terra fertile per eccellenza, caratterizzata dalla produzione di colture ortofrutticole di qualità eccelsa e rinomate nel mondo, negli ultimi anni si è trasformata, almeno nel sentire comune, in terra di veleni e di rifiuti, con la conseguenza che la Campania Felix di romana memoria è attualmente soprattutto nota come Terra dei Fuochi.

Si tratta probabilmente dell’unico caso di ridenominazione di un’area geografica così vasta, che da un lato ha marchiato negativamente il territorio stesso, dall’altro ha umiliato e preoccupato la popolazione che vi risiede e dall’altro ancora ha depresso le attività economiche che lo caratterizzano.

A distanza di circa quindici anni dalla suddetta ridenominazione, è arrivata l’ora di liberarsi di tale marchio, di rivendicare le qualità e le potenzialità del territorio, oltre che, ovviamente, la risoluzione dei problemi che pure lo investono.

Per la prima volta l’espressione Terra dei Fuochi è stata usata nel 2003, nel rapporto di Legambiente sulle ecomafie, nel quale veniva giustamente denunciata la pratica scriteriata di dar fuoco, diffusamente sul territorio, soprattutto nelle ore serali, a cumuli di rifiuti sia urbani che speciali. Tale pratica si diffuse ancor di più a seguito degli episodi di crisi nella gestione del ciclo dei rifiuti solidi urbani che hanno interessato, in particolare, l’area napoletana tra la fine del secolo scorso e la prima decade di quello attuale. Il timore e le preoccupazioni sui relativi effetti furono enormemente amplificati dal risalto che fu dato alle dichiarazioni rese da alcuni pentiti di camorra, che hanno raccontato di ponderosi seppellimenti di rifiuti di qualunque specie, in gran parte provenienti da imprese ubicate nelle Regioni settentrionali del Paese, dei quali solo in minima parte si è successivamente avuto riscontro a seguito delle indagini svolte dalla Magistratura. In tali condizioni, nella popolazione si radicò la convinzione che la combustione incontrollata dei rifiuti fosse la causa primaria della contaminazione dei suoli e, quindi, delle colture, dal cui consumo derivasse, principalmente, la diffusione di malattie tumorali.

Purtroppo, tale concatenazione di cause-effetti ha anche costituito il pretesto per dar luogo a vere e proprie speculazioni economiche, al limite dello sciacallaggio, che hanno fortemente inciso sulla redditività delle nostre imprese agricole e zootecniche. Basti pensare ad alcune pubblicità veramente mortificanti, nelle quali per esaltare la qualità dei prodotti veniva messa in evidenza la loro provenienza, diversa da quella campana. Basti pensare al fatto che sebbene la produzione ortofrutticola campana immessa sul mercato non abbia subito sensibili riduzioni, alcuni distributori hanno preteso, ed ottenuto, per il relativo acquisto una drastica riduzione dei prezzi. Basti pensare ai tanti problemi che si sono determinati nell’ambito della filiera casearia, da sempre fiore all’occhiello della nostra tradizione alimentare ed asse portante della nostra economia.

Inopinatamente, la definizione Terra dei Fuochi è stata recepita anche in alcuni testi normativi, sicuramente emanati con l’intento di fare chiarezza sulle condizioni ambientali del nostro territorio, ma che hanno implicitamente sdoganato e reso ufficiale il ricorso ad una denominazione inesistente, che non trova riscontro sui libri di storia e/o di geografia.

Fortunatamente, le corpose indagini ambientali e sanitarie eseguite negli ultimissimi tempi cominciano a mostrare come la concatenazione di cause-effetti di cui si è detto in precedenza non trovi conferma negli esiti degli accertamenti, peraltro eseguiti dai principali Enti ed Istituzioni con competenze tecniche e scientifiche in tema di monitoraggio ambientale e sanitario, non solo campani, che danno ampia garanzia in merito alla qualità dei risultati ottenuti. Le indagini, seppur non ancora completate, hanno già consentito di mettere in evidenza come: solo una minima parte dei suoli destinati alle pratiche agronomiche sia interessato da condizioni conclamate di contaminazione, che andranno al più presto risolte con gli interventi tecnici necessari; solo una parte trascurabile delle colture sia di qualità non idonea all’uso alimentare; non vi sia alcuna incidenza delle condizioni ambientali sullo stato di salute della popolazione ed in particolare sulla diffusione di malattie tumorali. In definitiva, le situazioni ambientali e sanitarie rilevate sono del tutto assimilabili a quelle che caratterizzano altre aree con grado di antropizzazione paragonabile alla Piana Campana.

Anche alla luce dell’esito di tali indagini, è giunta sicuramente l’ora di avviare con decisione gli interventi tecnici di risoluzione delle situazioni di compromissione che pur esistono, ma ancor di più è indispensabile ridare dignità ad un territorio per troppo tempo mortificato al di là del dovuto, rilanciando le eccellenze del territorio stesso, a cominciare dai prodotti ortofrutticoli e dalla filiera casearia, che hanno certamente bisogno di essere inquadrate in contesti più organizzati e funzionali, ma il cui proficuo sviluppo richiede inderogabilmente l’affrancamento dal marchio di Terra dei Fuochi.

Francesco Pirozzi – Ordinario di Ingegneria sanitaria-ambientale prezzo l’Università Federico II di Napoli