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Qatargate, uno scandalo inquietante

by Luigi Gravagnuolo
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Quanto è venuto alla luce a Bruxelles in merito alla vulnerabilità etica del Parlamento Europeo è inquietante, allarmante, ma non sorprendente.

Inquietante, perché mette a nudo la fragilità della democrazia europea, che mai come in questi giorni avrebbe avuto bisogno di credibilità morale e di legittimazione agli occhi della gente.

Allarmante, per la delicatezza istituzionale dell’indagine della Procura federale belga, che ha varcato la soglia dell’unica istituzione comunitaria eletta dal popolo europeo a suffragio universale. Pare che i due maggiori imputati, Eva Kaili ed Antonio Panzeri, si siano fatti prendere con le mani nel sacco, in palese flagranza di reato e non è il caso di mettere in dubbio la veridicità dei fatti, soprattutto se li si giudica da lontano e dall’esterno, come nel nostro caso. Delle forzature tuttavia sono state compiute e sono state, prima facie, ai confini della legittimità. Aveva la Presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, la potestà di rimuovere dalla funzione ricoperta ad nutum, senza aver prima sottoposto tale grave misura al vaglio dell’assemblea parlamentare, la Vicepresidente Eva Kaili, non da essa nominata, bensì eletta nel ruolo dai membri del Parlamento? Il fatto che immediatamente dopo l’assemblea abbia avallato la sua decisione, votando praticamente all’unanimità – 625 voti su 628 – per la destituzione della Kaili, nulla toglie ai dubbi circa la legittimità del precedente provvedimento sanzionatorio della presidente Metsola. E poi, chi in sede giudiziaria ha accertato che i personaggi coinvolti nell’inchiesta siano effettivamente colpevoli di aver commesso il reato? C’è stato già un giudizio? E lo stesso reato, quale sarebbe? Aver preso vagonate di euro da uno Stato estero impegnandosi a promuoverne l’immagine presso le istituzioni europee e svolgendo a favore di questo Stato attività di lobbying? Bisogna vedere se questo è un reato alla luce della legislazione europea, che viceversa contempla la liceità delle attività di lobbying.

Per esse esiste anche un regolamento. Vi si legge che nel Parlamento Europeo sono consentite “tutte le attività (…) svolte con l’obiettivo di influenzare direttamente o indirettamente la formulazione o l’attuazione delle politiche e i processi decisionali delle istituzioni dell’Unione, indipendentemente dal luogo in cui sono intraprese e del canale o mezzo di comunicazione utilizzato”. Certo, nello stesso regolamento si puntualizzano anche le procedure da seguire per le attività di lobbying, al fine di garantirne la trasparenza, e queste non sarebbero state osservate dalla Kaili & C.; ma il reato non può essere stato di per sé quello di aver cercato di ‘influenzare direttamente o indirettamente la formulazione o l’attuazione delle politiche e i processi decisionali delle istituzioni dell’Unione’, questo è evidente. Tutt’al più si è trattato della violazione del codice di condotta a garanzia della trasparenza, che è altra cosa.

O il misfatto è stato l’alto tradimento? Se questa fosse l’imputazione, sarebbe quanto meno singolare, in quanto non esiste uno Stato europeo, l’UE è una consociazione di Stati ciascuno dei quali conserva la sua sovranità. Quale Stato sarebbe stato tradito dalla Kaili? E quale da Panzeri, che non è neanche più un europarlamentare in carica? O ancora il reato consiste nel riciclaggio di soldi sporchi, come viene ventilato da più parti? Non è chiaro, tutto è ancora nebuloso, conviene aspettare che la polvere sollevata si posi per vederci più chiaro.

Certo, hanno trovato in casa Kaili un trolley con dentro diverse centinaia di migliaia di euro, più corpo di reato di questo cos’altro avrebbero dovuto trovare? Ma se – per assurdo – quel trolley lo avessero portato i perquisitori dell’alloggio? Se una trama eversiva di proporzioni inimmaginabili avesse architettato tutto a tavolino allo scopo di portare un colpo al cuore della democrazia europea? E quand’anche tutto fosse veritiero – come pare e come crede anche chi qui scrive – la leggerezza con la quale si sono esposti i colpevoli al ludibrio dell’opinione pubblica mondiale non potrebbe suggerire oggi a qualche occulta lobby di potere di replicare in futuro il film con altri colpevoli e con prove questa volta palesemente ordite a tavolino? Inutile aggiungere che l’operazione non sarebbe neanche tanto complicata, l’opinione pubblica europea è con tutta evidenza propensa a credere per vera qualsiasi insinuazione su questo o quell’europarlamentare, su questa o quella forza politica. A maggior ragione dopo il Qatargate.

Bisogna dunque mantenere una estrema cautela, nelle questioni istituzionali è doveroso frenare i propri impulsi forcaioli e pretendere che tutte le procedure, a partire da quelle giudiziarie, siano svolte con la massima garanzia verso gli eletti dal popolo. Non tanto e non solo per la vicenda dell’oggi, ma per un eventuale domani.

Con ciò non si vuole qui sminuire la gravità del tradimento morale perpetrato dalla Kaili & C. innanzitutto nei confronti degli elettori e di quanti credono davvero nell’Europa e nei suoi valori. Ma la questione istituzionale resta, ed è molto delicata.

Infine, la vicenda Qatargate non è per nulla sorprendente. Da sempre e a qualunque latitudine tutti gli Stati hanno tentato di condizionare la vita interna di altri Paesi arruolandone a suon di quattrini personalità influenti. Non solo parlamentari e uomini di governo, anche accademici, uomini di cultura, sindacalisti, imprenditori, finanche prelati, alti ufficiali delle forze armate e delle forze dell’ordine, magistrati, teste coronate senza regni, influencer in genere. In questo secolo anche e soprattutto influencer digitali.

Vale per i Paesi orientali come per l’Occidente, tutti lo fanno. Per quanto riguarda le personalità più in vista, in genere si comincia con l’invito a partecipare ad una delegazione ufficiale di scambio culturale o a una delegazione di operatori economici; poi, una volta accolto nel proprio Paese l’ospite con ogni sorta di attenzioni, se questi sembra accessibile, lo si invita a tenere qualche conferenza lautamente retribuita o ad assumere un ruolo attivo negli scambi commerciali tra i due Paesi; quindi lo si invita a promuovere l’immagine del Paese ‘corruttore’ presso il proprio; infine lo si mette a busta paga e sotto ricatto. Per quanto riguarda i politici in carica in ruoli istituzionali nei propri Paesi, ciò si concretizza per il tramite dei loro portaborse; poi, una volta decaduti dalle cariche, sono loro stessi in prima persona che fondano agenzie di lobbying.

Qualcuno, per dirne una, ha dubbi sul fatto che negli anni Dieci di questo secolo singoli intellettuali, politici ed interi partiti europei siano stati ingaggiati lautamente dai vari Bannon, per conto di Trump, Putin e Xi, quando tentarono all’unisono l’assalto all’UE? Ed oggi sulla vicenda ucraina non sentite l’odore di opinion leader a busta paga della Federazione Russa?

Diciamocela tutta, se volessimo considerare come criminoso il finanziamento di personalità influenti in Paesi diversi dal proprio, tutta la storia della nostra Repubblica, e quella dell’intera umanità, sarebbe stata una storia criminale. O il PCI non fu finanziato dall’URSS? O la DC e i partiti centristi, negli anni ‘80 anche il PSI., non lo furono dagli USA? Suvvia, di cosa ci si scandalizza oggi?