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Qui si fa teatro

by Piera De Prosperis
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La storia del teatro napoletano è sempre stata, a partire dalla fine dell’Ottocento/ inizi Novecento affare di famiglia.  Le necessità imposte dall’economia del vico faceva sì che un’attività, avviata da un membro di essa, diventasse poi appannaggio dell’intero gruppo familiare, che, o per vocazione o per costrizione, imparava il mestiere, quasi come in una corporazione di medioevale memoria.  C’era chi nella Napoli umbertina faceva il lustrascarpe, chi il mozzarellaro, chi il solachianiello, è capitato, invece, alle famiglie Scarpetta, De Filippo, Viviani, Carloni, Giuffrè, di fare altro. Intere tribù di mestieranti che hanno saputo nel tempo e con il tempo trasformare il teatro localistico in teatro universale, dalla macchietta di Sciosciammocca alle dolenti figure di Luca Cupiello o di Domenico Soriano.

Grande erede di questa tradizione scenica è stato Carlo Giuffrè che dall’alto dei suoi 90 anni ha partecipato a gran parte della storia del teatro nazionale e non solo. Dalla triste esperienza del collegio in cui fu messo a seguito delle ristrettezze economiche della famiglia, all’Accademia d’ Arte drammatica, poi tanta gavetta, fino al debutto, con il fratello Aldo nel 1949 nella compagnia di Eduardo De Filippo che volle poi i fratelli Giuffrè in quasi tutte le sue commedie.

Il percorso attoriale di Carlo fu simile a quello di Eduardo: anche lui si aprì ad una spettacolarità non più solo in dialetto ma in lingua.  Nel 1963 entrò a far parte della Compagnia dei Giovani, dove rimase per otto anni portando in scena opere come Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, Tre sorelle di Anton Čechov ed Egmont di Johann Wolfgang Goethe. Con lui recitavano i mostri sacri di quel tempo Giorgio De Lullo, Rossella Falk, Romolo Valli ed Elsa Albani.

Ma seppe anche interessarsi a mezzi di comunicazione più popolari come la televisione che viveva i suoi anni d’oro, ancora una volta in linea con l’esigenza di sperimentare nuove possibilità artistiche che superassero non solo i limiti del regionalismo ma addirittura quelli della scena teatrale in senso stretto.

La carriera di Giuffrè, infatti, si è allargata alla televisione, agli sceneggiati (Tom Jones del 1960 e I Giacobini nel 1962) fino al Festival di Sanremo che presentò nel 1971. Recitò nella cosiddetta commedia all’italiana: La ragazza con la pistola (1968), Basta guardarla (1971), La signora è stata violentata! (1973) La signora gioca bene a scopa? (1974), ruoli che, nella commedia sexy di quegli anni, gli erano possibili grazie ad un fisico prestante e ad un’indiscussa bellezza.

A teatro l’ultimo lavoro fu tre anni fa La lista di Schindler, mentre al cinema l’ultima apparizione è stata in Se mi lasci non vale di Salemme del 2016.

In questa irrequietezza culturale e professionale sta, forse, la sua peculiarità di artista: cercare nuove sfide, affrontando le difficoltà non all’arma bianca, come un moderno Masaniello, ma con la forza della preparazione e dell’impegno, uniti al solido apprendistato che derivava dalla lunga frequentazione con il teatro napoletano. Non a caso Luca De Filippo gli concesse i diritti su alcuni capolavori del padre come Le voci di dentro, Napoli Milionaria, Questi fantasmi che Giuffrè recitò a 83 anni

Nella chiesa di San Ferdinando a piazza Trieste e Trento, l’associazione Theotokos ha allestito un presepe in stile settecentesco che riproduce luoghi reali della città come piazza del Plebiscito e il Gambrinus. Il ponte di Chiaia al posto della Grotta. Vestono i panni dei pastori gli artisti il cui funerale è stato celebrato all’interno della chiesa: Sergio Bruni, Pupella Maggio, Enzo Cannavale, Aurelio Fierro, Nino Taranto, Luisa Conte, Umberto Bellissimo. Ad aprire la processione, sull’estrema destra, San Ferdinando, che dà il nome alla Chiesa.

I funerali di Giuffrè non si svolgeranno a Napoli, ormai da tempo risiedeva a Roma come fu per Eduardo nell’ultimo periodo della sua vita. Sarebbe significativo che tra le botteghe del presepe napoletano ce ne fosse una con l’insegna “qui si fa teatro”, in cui ritrovare i capostipiti, i figli e i nipoti delle famiglie che hanno saputo esportare la tradizione e l’anima della città.

di Piera De Prosperis