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Su Mussolini di Scurati

"Fascismo e populismo"

by Bruno Gravagnuolo
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Ben cinque volumi Bompiani su Mussolini di Scurati parrebbero bastare ad esaurire genere e argomento.

Ma ora ci capita tra le mani “Fascismo e populismo”, una conferenza del 2022 tenuta da Scurati a Ginevra, risistemata e distribuita da La Repubblica(Giunti, 2025). Una sorta di piccola “Fascistica in nuce”, per citare la celebre opera di Croce sulla Estetica che ne divulgava la dottrina più ampia sull’Enciclopedia Britannica. E una occasione per fare il punto sull’opera di Scurati in chiave didascalica. Ebbene in generale meritoria è stata la divulgazione scuratiana per via letteraria fatta di diari, resoconti, lettere e documenti. Il tutto imbastito in un racconto di archivio immenso. Un genere ibrido in fondo, né romanzo né storia. Un po’ come la storiografia 1943-45 di Claudio Pavone tra biografie e racconto. Discorso ben montato e con molto materiale parafrasato dall’interno. Il tipo Dux ne esce ben definito come egotico onnipotente, stregone mediatico e mitopoietico nichilista che approda a mitologemi reazionari e reinventati. E però l’assunto populismo/fascismo, che dà il titolo a questo volumetto ed è il filo conduttore dell’Opus magnum, non è nuovo. E’ storia storiografica vecchia. Basta guardarsi Sternhell o Poliakov o anche il nostro Salvatorelli o Gramsci o De Felice stesso. Semmai quello di Scurati è un esperimento teatrale alla Squarzina, epico brechtiano e didattico.

Il limite è però concettuale. E lo si vede anche in Fascismo e populismo. Duplice. Manca infatti una vera ricognizione ci pare su Romagna, radici, plebeismo sovversivo e risentito. Lui si chiamava infatti Benito Amilcare in onore di Cartagine contro Roma, e il padre Alessandro, fabbro anarchico alla Costa poi socialista mangia preti e violento.

El Matt, così chiamavano Benito, giocava da bambino solo con una maga tipo saraghina di Fellini e un ortolano, e da ragazzo si barricava su un silos con libri di Carducci Sorel Nietzsche, sunti di Marx e Le Bon. Insomma era un sovversivo grandioso ed eclettico voglioso di menar le mani e le idee. “Se Dio c’è mi fulmini entro 5 minuti”, gridava orologio alla mano in assemblea.

Poi c’è il contesto. Il ceto medio culturale e gli spiantati reduci e senza ruolo. Ne parla bene lo storico Emilio Gentile. Gli intellettuali di massa della nuova Italia cercano protagonismo e avventure. E il Duce futuro offre loro l’occasione, con interventismo e superomismo. Il PSI non vuol fare né guerra né riforme con Giolitti né rivoluzione. E allora ecco el matt a fare il Lenin nazionale. Rivoluzione nazionale e socialista popolare. E’ il trasformismo d’assalto Crispino in panni ardimentosi e populisti: Italia proletaria e fascista prefigurata dal Pascoli.

Insomma in questa psiche ducesca converge tanta roba ma una su tutte. E cioè l’ascesa al potere di un demagogo proletario che si trascina appresso compagni di partito, sindacalisti, spiantati e laureati ufficiali e canaglie mandate in prima linea dalle carceri, poeti e agrari, e commercianti e preti e mangiapreti e industriali. E’ un pezzo stesso del socialismo a tradire e a passar di campo pur di cavalcare l’onda del dopoguerra e farsi strada. Decapitazione della sinistra e inclusione dei suoi ceti nel blocco dominante. L’ideologia proletaria e populista basta e avanza a incollare tutto questo, mentre Albertini, Croce, Einaudi, Pareto con Marinetti plaudono.

Ecco è questa miscela storica di psicologia individuale e sociale che ci par manchi nello Zibaldone narrativo di Scurati. Un punto saliente, perché le stesse cose tornano sotto altre forme e miti moderni e post-moderni nella storia. Altra cosa poi che nell’opus magnum di Scurati manca, così come nell’operetta, è una precisa analisi della psicologia di massa e analisi dell’io, aggiornata in chiave psicoanalitica moderna. Tema che viceversa si trova nel grande storico George Mosse: estetica mortuaria, rancori, umiliazione e angoscia di morte nella Germania weimerana che sfociarono nel Nazismo. Ebbene in Italia il Fascismo fu certo connotato dal mito della vittoria mutilata e dal risentimento del ceto medio minacciato e impoverito nel dopoguerra. Ma c’è come un clima festoso e ludico e appunto teatrale come scrisse Gramsci, che funge da sfogo di secolari frustrazioni plebee. In altri termini il superuomo Duce giocava da teatrante trasgressivo contro il potere pur concentrando il massimo potere. C’è così un elemento fescennino nell’istrionismo mussoliniano, che funge da sfogo ludico ed erotico: le masse subalterne si identificano con il corpo del fracassa vendicatore di torti secolari in una sorta di carnevale politico. Il che è propriamente italico a prima vista. Ma è altresì universale anche oggi nel populismo vittimario e trasgressivo pseudo liberatorio. Imperniato sul corpo in movimento del condottiero mediatico.

Ecco, uno dei tratti del populismo moderno sta nel sacro carnevale della festa, che moltiplica le immagini e le diffonde con una sorta di parabasi nella quale il dittatore – uno di noi – scende e si diffonde tra le folle. Recitando a braccio un canovaccio imprevisto e sorprendente. Insomma fascismo e populismo come festa trasgressiva non significa che fu mera pagliacciata. Ma adorazione per dirla con Gobetti dell’eroe festivo della domenica, che motteggia, rimbrotta, diverte e scandalizza. Con immagini magniloquenti e dannunziane al tempo del balcone, barzellette al tempo del Biscione. E vestendosi da Papa al tempo del big Donald. Oppure facendo occhiacci e cabaret al tempo di Meloni. Questo aspetto comico ed estetico di massa andrebbe indagato nel profondo per capire anche le reincarnazioni della destra populista che rompe con i riti della politica etica e la trasforma in sovversione estetica contro l’autorità in nome di una più forte autorità.

 

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