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Titti Marrone vince il Premio Napoli

by Piera De Prosperis
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L’Autrice di questo articolo ha già recensito per Gente e Territorio “Se solo il mio cuore fosse pietra” di Titti Marrone: https://www.genteeterritorio.it/premio-napoli-2022-se-solo-il-mio-cuore-fosse-pietra-di-titti-marrone-feltrinelli/

 

Per la narrativa “Se solo il mio cuore fosse pietra” (Feltrinelli) di Titti Marrone, “Exfanzia” (Einaudi) di Valerio Magrelli per la poesia ed Enzo Traverso con “Rivoluzione 1789-1989” (Feltrinelli) per la saggistica. Sono i vincitori, decretati dalla giuria popolare, del Premio Napoli 2022.

Al Mercadante, giovedì 15 dicembre, alla presenza del Sindaco Manfredi, la premiazione è stata una grande festa per la letteratura oltre che per i finalisti.

Faccio parte della giuria popolare del premio ormai da molti anni, sono una dei circa duemila lettori- giudici che chiedono di partecipare alla scelta. La Fondazione Premio Napoli dal 1954 si rivolge non solo agli appassionati di letteratura ma anche ai giovani, agli studenti delle scuole ed ai detenuti delle carceri napoletane. Ci sono state edizioni in cui la lettura dei testi proposti mi risultava ostica perché si era imboccata la via della ricerca spasmodica di originalità dei testi che spesso però penalizzavano il lettore più tradizionalista. Acqua passata. Negli ultimi tempi le proposte editoriali sono decisamente di peso e di indubbia qualità.

Ha vinto Titti Marrone, non vi nascondo che avevo votato per Stassi ed il suo Mastro Geppetto ma è questione assolutamente personale. Il libro della Marrone Se solo il mio cuore fosse pietra merita in toto il riconoscimento.

Il racconto del ritorno alla normalità dei piccoli liberati dai campi di sterminio nazisti, colpisce al cuore ed alla mente di chi legge. Il percorso di riabilitazione dei venticinque bambini passa attraverso la necessità di interiorizzare il male assoluto vissuto ed aprirsi alla speranza che un mondo migliore, diverso, possa esserci. Gli sforzi dei terapeuti a cominciare da Anna Freud risultano spesso estemporanei, dettati più dalla personale sensibilità che dalla letteratura apposita, inesistente in una casistica come questa, unica nel suo genere, per fortuna.

La vittoria della Marrone, oltre il valore intrinseco dell’opera, estremamente documentata e scritta con il rigore saggistico proprio della storica giornalista del Mattino, è in linea con lo spirito dei tempi.

Al di là di quello che la politica decide, abbiamo bisogno di vivere il tempo dell’accoglienza e della pace, abbiamo bisogno di eliminare la violenza dal presente e dal recente passato. Quei piccoli che vengono accolti, sfamati, vestiti, coccolati ci danno la speranza che altri piccoli possano essere aiutati e che forse, in fondo, anche noi possiamo trovare aiuto e comprensione in altri. La villa di campagna di sir Benjamin Drage, a Lingfield, in Inghilterra, dove sono accolti, è un’isola felice, un paradiso in terra che i bambini, ormai cresciuti, rimpiangeranno sempre. In questo tempo tormentato come vorremmo che ci fossero altre Lingfield per tutti coloro che hanno vissuto o stanno vivendo gli orrori del nostro tempo! Il libro della Marrone ci dà questa speranza di cambiamento ponendoci a modello quanto successe nel 1945, purché ci siano persone di buona volontà intenzionate ad aprire un nuovo capitolo di vita. In fondo è un libro a lieto fine una commedia che parte dal baratro dell’Inferno ed arriva ai cerchi del Paradiso. E questo piace e conforta.

L’edizione del Premio Napoli 2022 è stata dedicata a Raffaele La Capria, recentemente scomparso. Due donne, Antonella Cilento, scrittrice, e Valentina Curatoli, attrice, hanno ricordato il Maestro.

La Capria e Marrone due napoletani molto diversi tra loro ma accomunati dalla speranza che ha sempre accompagnato il nostro popolo. Adda passa’ ‘a nuttata.!

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Mario Conti 17 Dicembre 2022 - 11:25

Capisco, ma totale disaccordo. Anch’io da qualche anno faccio parte di quella giuria; e ho visto avvicendarsi – come è fatale quando c’è una venerabile giuria, opere belle o almeno suggestive, altre modeste e infine altre velleitarie, fino all’estremo di masturbazioni inaccettabili.
Il che è prevedibile, se consideriamo che alla Fondazione del Premio arrivano opere a valanga dagli editori, e queste vengono mollate in toto a “ciascuno” dei membri della prima giuria di probi viri che dovrebbe fare la cernita e consegnare alla seconda giuria – quella dei lettori – le tre terne della finale. Sicché ogni giurato si vede recapitare centinaia di volumi di tutte e tre le sezioni. Credete voi che gli sarebbe umanamente possibile leggerli tutti nel poco tempo a disposizione per fare coscenziosamente il suo lavoro? Di qui l’opinabilità dei titoli che emergono.
Quest’anno poi l’apoteosi: nella sezione Narrativa, ben due libri sui tre narrativa non erano: uno era la cronaca reale e puntuale di un paese di fede comunista della padana (tuttavia forse quello scritto meglio), l’altro, appunto, il fin troppo annunciato vincitore, storia vera assai poco romanzata di una villa in cui un benefattore inglese accolse nel secondo dopoguerra bambini reduci dai campi di concentramento o dai nascondigli predisposti dai genitori per salvarli. C’era materia perchè altra penna ne cavasse un bel romanzo (il recupero alla normalità di bambini spaventati, disadattati, traumatizzati; e gli sforzi generosi degli addetti della Casa per riuscire nell’impresa); ma ahimé l’autrice è una giornalista, non una scrittrice, e dal compitino si vede bene. Era chiaro però che molti giurati del primo e secondo turno non se la sono sentita di non premiare un tema così edificante (è quello che oggi accade spesso, credere che le intenzioni bastino). Aggiungete poi il pigro campanilismo (autrice napoletana).
Infine Mastro Geppetto. L’unico romanzo vero era – per carità, a mio modestissimo giudizio – un misterioso tornare sulla storia di Pinocchio scegliendo come punto di vista quello del padre putativo. Il quale inalbera per tutto il libro un’irritante insipienza, riscattata a stento dalla coazione a cercare indefessamente il figlio involato. Curiosa maledizione di Pinocchio, quella di avere molti epigoni letterari e cinematografici, uno meno riuscito dell’altro.
Comprendo la fiducia e il bisogno di adesione dell’autrice del pezzo; ma credo che meglio sarebbe se la stampa pungolasse il Premio a non limitarsi a galleggiare, ma recuperasse orgoglio e puntasse senza paura a ricavarsi uno spazio suo, non residuale, nel panorama delle manifestazioni letterarie.

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