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La cosa più inquietante per la democrazia e la pace nel mondo è la percezione dell’inaffidabilità della maggiore potenza militare, economica, tecnologica e culturale del pianeta.
Il problema è la durata in carica dei presidenti. Quattro anni, otto se al termine del primo mandato si viene rieletti. Basta aver fatto una piccola esperienza amministrativa locale in Italia per capire bene come otto anni siano un’inezia. Bastano appena ad impostare e ad avviare un progetto di città o di regione. Figuriamoci a cambiare l’ordine del mondo intero! In quattro o otto anni, chiunque sia il presidente, può fare poco. E, se cerca di fare di più, rischia di combinare guai.
Va meglio quando gli succede un ‘continuatore’. I presidenti federali dem Roosevelt e Truman governarono in continuità politica per venti anni, dal ‘33 al ‘53. E furono gli anni cruciali della sconfitta dell’Asse nazi-fascista e della definizione dell’ordine mondiale post-bellico. Così, nei dodici anni di Reagan e Bush sr., dal 1981 al ‘93, fu sconfitto il tentativo di espansionismo straccione di Saddam Hussein e fu vinta la guerra fredda con l’Unione Sovietica. La continuità politica è un valore.
Ma, dal ‘53 a oggi, l’alternanza alla Casa Bianca è stata frequente. Così gli USA sono passati di volta in volta dal farsi paladini della democrazia nel mondo a precipitose fughe e abbandoni di chi aveva in loro creduto. Successe così in Vietnam, abbandonato nel ‘75 dopo venti anni di guerra costellata di atrocità; ed è accaduto nel ‘21 in Afghanistan. Per menzionare solo i due casi più eclatanti. Ora è la volta dell’Ucraina.
Il 5 dicembre 1994, a Budapest, Ucraina e Russia sottoscrissero un Memorandum per il quale Kiev avrebbe consegnato a Mosca tutti i suoi armamenti nucleari e la Russia si impegnava a garantirne l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale entro i confini dell’epoca (quindi compresa la Crimea). Co-sottoscrittori di quel Memorandum e garanti del patto furono il Regno Unito e gli Stati Uniti. Consenzienti Cina e UE, quest’ultima conformemente ai principi enunciati dalla Conferenza di Helsinki sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa (CSCE). Firmarono il Memorandum Leonid Kuchma per l’Ucraina, Boris Eltsin per la Federazione Russa, John Major per il Regno Unito, Bill Clinton per gli USA.
Putin ha tradito quell’impegno. Con la ragione delle armi nel 2014 ha annesso la Crimea e le province orientali delle oblast del Luhansk e del Donetsk; poi, il 24 febbraio 2022, ha invaso l’intera Ucraina puntando su Kiev. Di conseguenza i ‘garanti’ di Budapest, gli USA di Biden in primis, hanno sostenuto il governo di Kiev con sanzioni all’aggressore e con finanziamenti, armi e addestramento delle truppe ucraine, impegnando a supporto anche la NATO.
Da gennaio però è cambiato inquilino alla Casa Bianca. Il tycoon ha mollato Zelens’kyj e tutta l’Ucraina, ringalluzzendo un Putin che, nonostante la schiacciante superiorità in uomini e mezzi sul fronte, era quasi allo stremo. Per quanto pervasivo sia il suo sistema di potere, lo zar sa bene che rischiava. È la plurisecolare storia della Russia che lo dice: lunghi periodi di dittatura interrotti di tanto in tanto da ribellioni improvvise o da golpe di palazzo. Sempre dopo un insuccesso militare. Quando Putin dice che la vittoria in Ucraina è per la Russia una questione esistenziale pensa innanzitutto alla sua esistenza. Il voltafaccia degli USA è stato quindi il suo salvavita.
Nei giorni scorsi dalla Casa Bianca hanno fatto trapelare tramite l’agenzia Axios i contenuti degli accordi presi tra Trump e Putin ad Anchorage il 15 agosto. E finalmente ieri la stessa Axios li ha resi pubblici integralmente. Ci torneremo, lo spazio è tiranno, come si suol dire. Limitiamoci per ora alla prima lettura.
Dunque:
- l’Ucraina dovrebbe cedere definitivamente alla Russia tutto il Donbass, anche la parte ancora sotto il suo controllo, e la Russia dovrebbe rinunciare per il momento all’occupazione totale delle oblast di Kherson e di Zaporizhzhia, dove verrebbe congelata l’attuale linea del fronte;
- divieto universale, che vale anche per l’UE non coinvolta nella trattativa, di fornire missili a lungo raggio a Kiev;
- dimezzamento dell’esercito ucraino da un milione 300mila a seicentomila soldati privati delle armi pesanti;
- fine dell’assistenza militare USA e no Kiev nella NATO;
- cessazione delle sanzioni alla Russia e sua riammissione nei G8;
- riconoscimento in Ucraina della lingua russa come una lingua ufficiale al pari dell’ucraino, ma non reciproca ammissione della lingua ucraina nel Donbass e Luhansk.
Sotto il rispetto territoriale, pur se Mosca rinuncerebbe per il momento ad ogni pretesa ulteriore sulle oblast di Kherson e Zaporizhzhia, le condizioni sono punitive per l’Ucraina, alla quale verrebbe però confermata la piena sovranità su ciò che le resterebbe. Viene inoltre prevista la sottoscrizione di un patto di non aggressione tra Russia, Ucraina ed Europa e ci si aspetta – ripetiamo: ci si aspetta, non si stabilisce – che la Russia non invada Paesi vicini. Così come la Nato non dovrebbe espandersi ulteriormente.
Disarmo di fatto dell’Ucraina, no all’Ucraina nella NATO e lingua russa come lingua ufficiale al pari dell’ucraino: è evidente che Putin vuole lasciarsi mani libere per re-invadere l’Ucraina.
Tuttavia stiamo parlando della base per un accordo di pace e, quando si vuole la pace, bisogna tener conto non solo della realtà, ma della percezione di essa che ne hanno le parti. Sotto questo rispetto non c’è alcun dubbio che Putin e il popolo russo abbiano davvero la percezione che la NATO si stesse espandendo a Est e che volesse utilizzare l’Ucraina per attaccare per procura la Federazione Russa. Come pure bisogna tener conto dei rapporti di forza sul campo, le carte in mano ai contendenti per dirla col tycoon, oggi decisamente sfavorevoli a Kiev. Quei 28 punti vanno perciò negoziati, non respinti a priori. Zelens’kyj lo ha capito e si è detto disposto a sedersi al tavolo.
Il punto critico, visto il precedente del Memorandum di Budapest, è il sistema delle garanzie: senza la NATO chi proteggerebbe un’Ucraina di fatto smilitarizzata? Nei 28 punti si dice che «oltre a una risposta militare coordinata sarebbero ripristinate tutte le sanzioni globali alla Russia».
Hai visto mai? Dicevamo delle percezioni della realtà. Scottati dal tradimento russo del Memorandum di Budapest e della inaffidabilità delle garanzie degli USA, per di più degli USA oggi presieduti da Donald Trump, possono mai fidarsi gli Ucraini?
No, e non possiamo fidarci nemmeno noi europei occidentali.
