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Un paese fatto a Pezzi

by Alessandro Bianchi
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Intervento presentato a Roma lo scorso 20 marzo all’incontro SVIMEZ-CNEL: Politiche pubbliche e geografia istituzionale – AUTONOMIA DIFFERENZIATA.

 

Una delle conseguenze più aberranti – anche se tra le meno conosciute – del provvedimento varato dal Governo per la cosiddetta “autonomia differenziata”, è la definitiva rinuncia ad una visione unitaria del territorio nazionale, sostituita da una parcellizzazione in realtà regionali sconnesse tra loro.

D’altronde la questione dell’assetto del territorio è insita in quella della ripartizione delle competenze e dei poteri tra Stato e Regioni che nasce con l’art. 115 del dettato costituzionale – “Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principî fissati nella Costituzione” – la cui vicenda può essere riassunta con riferimento ad alcuni quadri temporali.

 

 

1952

Siamo nel pieno della ricostruzione post-bellica e il Ministero dei Lavori Pubblici pubblica uno studio – “I Piani Regionali – Criteri di indirizzo per lo studio dei Piani Territoriali di coordinamento in Italia” – alla cui elaborazione prendono parte alcune delle migliori intelligenze urbanistiche dell’epoca: da Giovanni Astengo a Federico Gorio, Luigi Piccinato, Ludovico Quaroni, Bruno Zevi.

Il significato che viene attribuito ai Piani Regionali è quello dell’apertura di una nuova prospettiva per il governo del territorio che consenta di superare la ristrettezza delle soluzioni legate ai piani comunali (Legge 1150/42) e aprire ad una dimensione più ampia: diventa pianificazione del territorio.

Per questo motivo a corredo dell’elaborato compaiono numerose tavole d’insieme del territorio nazionale, che evidenziano molteplici aspetti: le aree agricole, le località turistiche, le linee ferroviarie, le strade di grande circolazione, gli aeroporti.

In sostanza, pur nella difficile fase di ricostruzione post-bellica e con una struttura economica ancora essenzialmente agricola, si avverte la necessità di una visione complessiva del Paese e dell’assetto del suo territorio.

 

 

1955-65

Sono gli anni del cosiddetto miracolo economico nel corso dei quali, a fronte degli imponenti cambiamenti che portano ad una accentuazione degli squilibri tra Centro-Nord e Sud, si avviano i primi tentativi di programmazione economica: lo “Schema di sviluppo dell’occupazione e del reddito in Italia nel decennio 1955/64”, noto come “Piano Vanoni” (1955); la “Relazione generale sulla situazione economica per il Paese del 1961”, con il corredo della  “Nota aggiuntiva La Malfa” (1962) e anche uno “Schema di piano” predisposto da Antonio Giolitti, mai approvato.

Anche in concomitanza con quei piani si avverte l’esigenza di garantire un’equilibrata articolazione regionale della programmazione economica nazionale e a quel fine vengono istituiti i CRPE – Comitati Regionali per la Programmazione Economica, organi periferici del Ministero del Bilancio e della programmazione Economica, con il compito di elaborare “Schemi di sviluppo regionale” coerenti con le previsioni della programmazione nazionale.

Ma come ricorda anni dopo Franco Archibugi, uno dei maggiori studiosi di quelle tematiche, quegli schemi soffrirono “dell’assenza di un adeguato quadro di riferimento nazionale ovvero interregionale, che contenesse appunto una articolazione regionale sulla quale costruire i piani regionali dei CRPE e poi delle Regioni”.

 

 

1969

E’ l’anno in cui il Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica presenta il “Progetto ’80 – Rapporto Preliminare al Programma Economico Nazionale 1971-75”, un elaborato di alto profilo e di lunga prospettiva che muove da una visione strategica del Paese, propone un approccio unificato tra programmazione economica e pianificazione del territorio e si pone in una logica di raccordo tra le scelte del Governo e quelle degli altri centri decisionali, in primo luogo le Regioni anche se non ancora istituite.

Inoltre, con le “Proiezioni territoriali”, delineava per la prima volta un disegno unitario di assetto del territorio nazionale all’interno di un “Modello programmatico”.

Purtroppo anche il Progetto ‘80 rimane del tutto disatteso, così come rimane sulla carta lo scenario territoriale, perché l’uno e l’altro vengono superati dall’avvento delle Regioni a statuto ordinario.

 

 

1970-2000

E’ il lungo periodo durante il quale – a partire dalla legge istitutiva, dall’elezione dei Consigli regionali e dall’approvazione degli Statuti – si ha la piena maturazione delle Regioni a statuto ordinario.

Nel corso di quegli anni le Regioni si dotano di loro piani territoriali, mentre a livello centrale non vengono predisposte le  linee di assetto in grado di garantire una visione unitaria del territorio, che pure erano state indicate come “competenze dello Stato “ fin dall’art. 81 del DPR 616/77: “linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale, con particolare riferimento alla articolazione territoriale degli interventi di interesse statale ed alla tutela ambientale ed ecologica del territorio nonché alla difesa del suolo

Non a caso quando alla fine di quel periodo il Ministero dei Lavori Pubblici pubblica il “Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio”, la conclusione che se ne trae in uno scritto di Alberto Clementi è che “l’immagine implicita del territorio italiano proviene piuttosto dal patchwork dei molteplici piani regionali, provinciali e comunali, che combinandosi con piani nazionali dei trasporti, dei parchi, dei bacini e altri piani di settore per i servizi e le infrastrutture compongono una figura complessiva quanto mai confusa e contraddittoria per la inevitabile eterogeneità dei suoi materiali costitutivi”.

 

 

2001

E’ l’anno in cui l’idea di dotare il Paese di un disegno unitario del suo territorio viene definitivamente abbandonata anche sul piano legislativo con l’approvazione della Legge 3/2001 “Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione”.

Infatti l’art. 3 della legge modifica l’art. 117 della Costituzione per quanto riguarda la materia della legislazione concorrente, nella quale fa ricadere: “governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” e stabilisce che in quelle materie “spetta alle Regioni la potestà legislativa”.

In sostanza si creano le condizioni formali e sostanziali affinché il territorio del Paese venga frantumato in quindici disegni regionali (oltre ai cinque delle Regioni a Statuto speciale) privi di connessioni di continuità.

 

 

2023

Ad oggi la conclusione di questa mortificante vicenda di abdicazione dello Stato è che per quanto riguarda l’assetto del territorio il recente DDL sulla “autonomia differenziata” potrà solo peggiorare la situazione esistente e segnare la definitiva affermazione di un Paese fatto a pezzi.