Bérengère Viennot è traduttrice di professione. Con il suo saggio racconta quello che lei definisce “un evento sconvolgente”: l’elezione (e la rielezione) del presidente americano. “Il linguaggio di Trump è completamente diverso da quello dei suoi predecessori, è semplice, ripetitivo… ma allo stesso tempo contorto, volgare e indecifrabile: parla senza applicare alcun tipo di filtro e senza nemmeno considerare a chi si sta rivolgendo, ed essendo un presidente è una cosa parecchio inusuale: lo è nella comunicazione politica, ma se ci pensate non farebbe questa gran figura nemmeno nel mondo normale”.
«Alla fine il problema non è Donald Trump. E la sua lingua, il suo modo di parlare o di non parlare, il suo linguaggio più o meno volgare o colorito, sono solo un albero minuscolo che nasconde una foresta gigantesca, piantata nel giorno in cui i Padri pellegrini del Mayflower sono sbarcati e hanno cominciato la loro opera di distruzione/ricostruzione a suon di genocidi e di feroci proselitismi.
La responsabilità è collettiva. Se la lingua di Donald Trump rispecchia perfettamente il suo modo di pensare e la sua politica, venata di misoginia, di razzismo, di mancanza assoluta di empatia e di sfrenata ricerca del profitto, significa che è il prodotto del suo tempo e della sua società. L’America, quando guarda al suo presidente, si vede in uno specchio che crede deformante ma che riflette una realtà che ha a lungo voluto occultare e che le sta tornando dritta in faccia.
Il sogno americano è sempre stato solo questo, un sogno. Lo slogan di Trump, “Make America Great Again”, specula su un fantasma mai destinato a diventare realtà, e di cui si sono avvalsi altri candidati presidenziali prima di lui… Il sogno americano è passato sopra la testa di una quantità incredibile di donne e di uomini, nonostante un’iconografia nazionale infarcita di simboli falsi e distorti (…).
La lingua di Trump, questa nuova lingua dell’America, non è frutto di una genesi spontanea nella bocca di un miliardario spuntato dal nulla. Non è riducibile alle elucubrazioni di un uomo che si preferirebbe credere completamente pazzo, per non essere obbligati ad ascoltare quello che dice. Bisogna ascoltare Donald Trump, perché non è tanto stupido: con la forza del suo ego, e nonostante la sua crassa ignoranza, è riuscito ad assurgere alla carica più potente della storia dell’umanità moderna.
Bisogna ascoltare Donald Trump perché, per bocca sua, parla l’America più violenta, più spregevole, ma anche, ormai, la più potente. Bisogna ascoltarlo perché, in Occidente, il regno della ragione ha fatto il suo tempo. Le grandi decisioni di buona volontà successive alla catastrofe costitutiva del XX secolo, le alleanze tra le grandi nazioni per scongiurare che riprenda il sopravvento quanto c’è di più turpe nell’animo umano, gli accordi tra gli intellettuali di buona volontà nell’intento di soddisfare il maggior numero di persone e di fare avanzare l’umanità, a pezzi e a bocconi, verso il meglio, tutto questo appartiene al passato.
(…) E poi bisogna ascoltare Donald Trump perché è contagioso: in Brasile, in Ungheria, in Turchia, in Italia, in Austria e altrove, la violenza delle parole e degli atti si intensifica. In questi paesi, che si considerano al sicuro grazie alle lezioni della Storia, sono sempre di più i cittadini che tendono l’orecchio verso l’America e ascoltano, loro, la lingua di Trump.»
Bérengère Viennot, La lingua di Trump.