Voglio raccontarvi una storia.
C’era una volta, un giovane napoletano che, dopo aver combattuto in Grecia durante la Seconda Guerra Mondiale, salì in montagna a comandare una formazione partigiana delle Brigate Giustizia e Libertà in Piemonte, con il nome di battaglia di Ivan. Fu arrestato e condannato a morte, ma, con una rocambolesca azione degna di un film, riuscì a fuggire grazie a falsi ordini di trasferimento. Il 25 aprile del 1945 lo sorprese comandante della piazza di Alessandria, dove ordinò che venissero accese le luci nonostante il pericolo ancora incombente.
C’era pure una giovane torinese, anche lei partigiana delle GL, che portò i falsi ordini per liberare Ivan, per lei uno sconosciuto, in bicicletta attraverso le campagne, al gruppo che poi condusse l’operazione.
Qualche anno dopo, i due si ritrovarono a Napoli, presentati da amici comuni, e si sposarono. Dal loro matrimonio nacque, tra gli altri, chi scrive.
Non parlavano volentieri di quel periodo, vuoi per pudore, vuoi per i dolorosi ricordi connessi, ma ogni 25 aprile Ivan ci raccontava qualcosa ed è indimenticabile il suo viso quando affermava di aver scelto la guerra partigiana per fedeltà alla sua uniforme. Era e si sentiva un ufficiale e, dopo l’8 settembre, per lui l’esercito regolare al Nord erano le Giustizia e Libertà.
E’ una storia senza pretese, emblematica di niente, se non dell’estrema varietà di sentimenti e motivazioni che animarono i protagonisti di quell’epoca.
Il valore fondativo e identitario per la nostra Repubblica di questa ricorrenza è andato scemando. Alle elementari, negli anni ’60, insegnavano che il fascismo era stata una brutta cosa, ma Mussolini aveva però anche bonificato le Paludi Pontine. Per fortuna i tempi sono cambiati e non è più necessario ricordare chi ha vinto la guerra, anche se permangono sacche di ignoranza e rigurgiti di imbecillità.
Oggi, al ricordo doveroso, forse andrebbe aggiunta la celebrazione dell’importanza di scegliere, che significa avere coraggio, essere liberi, vivere. Quale che sia la scelta. I miei figli portano i nomi di quei due giovani, con la speranza che vivano liberi.
di Flavio Cioffi