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Tre città: Orvieto, Pompei, Reggio Calabria

questione centrale è la complessità

by Alessandro Bianchi
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Che cosa accomuna Orvieto, Pompei e Reggio Calabria? Praticamente nulla al di là di essere tre città del Bel Paese.

Il motivo per cui ne parlo è che a distanza di poco tempo sono stato invitato ad intervenire in eventi che si tenevano a pochi giorni di distanza in quelle città. Dunque una mera casualità e, tuttavia, alla fine del percorso mi sono reso conto che da quello che avevo detto negli interventi si deduceva un filo conduttore che riguarda una questione centrale sia nel modo di leggere e interpretare le città che nel modo di governarle: la complessità.

Naturalmente tutte le città hanno una loro complessità, il che vuol dire che al loro interno sono presenti fattori che ne rendono difficile la comprensione e ancor più la pianificazione e gestione. Ma questa complessità si presenta con caratteri del tutto diversi da caso a caso, sicché il punto è capire di che tipo di complessità parliamo quando esaminiamo una singola situazione.

Nelle grandi Città-Metropoli il fattore determinante è certamente la dimensione demografica. Anche senza pensare alle megalopoli asiatiche e sudamericane e rimanendo nel nostro Paese, se hai a che fare con milioni di persone – circa 4.2 a Roma, 3.2 a Milano, 3.0 a Napoli, 2.2 a Torino, 1.2 a Palermo e Bari – si pongono problemi rilevanti sia nell’organizzazione interna al centro ordinatore – mobilità, servizi, residenze – sia di questo con l’intorno di riferimento: frazioni, nuclei, case sparse.

All’estremo opposto vi sono i cosiddetti Centri minori, quelli con una popolazione inferiore a 5.000 abitanti che per numero sono il 70% del totale; per popolazione sono poco meno del 17% ma, comunque, assommano a quasi 10 milioni di persone.

Sono quasi sempre in progressivo spopolamento con tutte le conseguenze in termini di abbandono e degrado del patrimonio edilizio. Per questo tipo di centri abitati un grande antropologo – Vito Teti – ha coniato un termine che ha dato il titolo ad un prezioso libro: la Restanza, una condizione contrapposta alla Partenza, che Teti auspica possa affermarsi per arrestare quella che ormai è una vera emorragia che porta con sé una impressionante perdita di valore dei luoghi.

Tra gli estremi due ulteriore tipologie: i Centri intermedi, da 15.000 a 50.000 abitanti e i Centri medio-grandi, da 50.000 a 250.000, che l’ISTAT definisce Città.

Muovendo da questa breve premessa provo a riassumere quanto emerge per quanto riguarda le tre città di cui stiamo parlando.

 

 

Orvieto ha una popolazione di circa 19.000 abitanti, quindi un Centro intermedio per come li abbiamo definiti, ma in costante diminuzione da oltre venti anni il che è di per sé un problema. Inoltre questa popolazione è distribuita in modo frammentato sul territorio: poco più di 4.000 nel centro storico, la stragrande parte in frazioni, nuclei e case sparse. I due fattori insieme – calo e diffusione – costituiscono una prima componente della complessità specifica di Orvieto.

A questi si aggiungono ulteriori fattori con un peso rilevante:

  • La morfologia ambientale, caratterizzata dalla singolarità geologica della piattaforma tufacea su cui poggia il centro storico con i connessi spazi ipogei, che richiede un’attenzione continua anche per ragioni di sicurezza.
  • Il territorio rurale, che con una dimensione di 281 Kmq è uno dei cinquanta più estesi in Italia, interessato da coltivazioni agricole di pregio come viticoltura e olivicoltura, che vanno attentamente salvaguardate.
  • Il patrimonio culturale – archeologico, storico, architettonico, artistico – che è certamente la risorsa più importante per la città conosciuta per questo in tutto il mondo. Si tratta di un attrattore turistico di enorme portata, il che costituisce una grande risorsa economica ma, al contempo, crea problemi sempre più evidenti per l’eccesso di presenze.
  • La mobilità rispetto alle due grandi città di riferimento: Roma e Firenze. A dispetto della relativa vicinanza e della presenza di due linee ferroviarie – quella storica e quella di Alta Velocità – vi sono gravi disfunzioni nei servizi ferroviari che penalizzano fortemente i cittadini che pendolano soprattutto per motivi di lavoro e di studio.

Ecco, dunque, il quadro di complessità con cui si devono confrontare nel pensare al governo del loro territorio le componenti della città di Orvieto: amministratori, tecnici, imprenditori, cittadini tutti.

 

 

Pompei è un nome noto in tutto il mondo per lo straordinario Parco archeologico dove sono presenti le testimonianze tangibili di una intera città romana distrutta dalla eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.

Sia pure ad un livello minore è altresì nota per la presenza del Santuario della Madonna di Pompei, anch’esso in grado di attrarre milioni di visitatori all’anno.

C’è poi Pompei città, tale solamente dal 1928, con una popolazione di circa 25.000 abitanti, costante dall’inizio degli anni 2000.

Ebbene è proprio questa triplice presenza che rappresenta la complessità, affatto particolare, di Pompei.

Il Parco archeologico è un formidabile attrattore turistico con circa 4.0 milioni di visitatori ogni anno, il che costituisce una rilevante risorsa economica, ma il crescente fenomeno dell’over-turismo sta creando problemi notevoli, al punto che le visite sono state contingentate a 20.000 al giorno.

Una situazione del tutto analoga vale per il Santuario, che ha dovuto fissare un limite di 15.000 accessi giornalieri.

Ma nel caso di Pompei alla complessità connessa alla eccezionalità delle due presenze storico-culturali-turistiche si aggiunge la singolare condizione della messa in ombra della città moderna.

Intendo dire che qualunque ricerca si faccia su Pompei il 90% delle informazioni che si trovano riguardano il Parco e il Santuario. La Città si trova in una sorta di cono d’ombra proiettato dalle due straordinarie emergenze, il che rende particolarmente difficile la gestione delle ordinarie funzioni urbane: mobilità, servizi scolastici-sanitari- sociali-culturali-ricreativi. Insomma una complessità aggiuntiva che fa capo all’amministrazione comunale e di cui dovrebbero farsi carico i livelli superiori di governo del territorio – la Regione e lo Stato – della qual cosa non si vede traccia.

 

 

Reggio Calabria è una grande città di circa 170.000 abitanti al centro di una conurbazione che ne conta 360.000, inserita in uno scenario naturalistico-paesaggistico di eccezionale bellezza, di recente valorizzato da un water front di alta qualità. Inoltre la sua ubicazione geografica nello Stretto di Messina ne fa il referente di un più ampio territorio sovraregionale.

Si tratta di condizioni per molti aspetti positive alla quale, tuttavia, si accompagnano numerosi fattori di complessità in senso negativo, che rendono molto difficile il governo del territorio:

  • La particolarità delle condizioni geomorfologiche, idrologiche e sismiche che ne fanno una della città più esposte ai rischi ambientali; è una condizione che potremmo definire originaria ricordando il catastrofico evento sismico del 1908, ma nei confronti della quale – fatta salva la ricostruzione negli anni immediatamente successivi – la città non ha prestato la dovuta attenzione consentendo una edificazione in larga misura abusiva e totalmente esposta al rischio sismico.
  • La precarietà delle condizioni di mobilità: quelle di lunga percorrenza che richiedono tempi doppi rispetto a situazioni analoghe (Milano-Roma tre ore; Reggio Calabria-Roma sei ore), per non parlare di quelle con la Puglia; quelle con i territori contermini soprattutto sul versante Jonico dove la ferrovia è ancora a unico binario e non elettrificata e la strada S.S. 106 è tra le più disastrate e pericolose; quelle con il versante siciliano, Messina in primo luogo, le cui infrastrutture per il traghettamento sono completamente inefficienti e i relativi servizi lasciati in balia di operatori privati

A questa condizione della mobilità va associata la farsesca idea di realizzare un ponte sullo Stretto di Messina. Un’idea di cui si discute da oltre cento anni, più volte derubricata dai piani nazionali ed europei dei trasporti e riesumata negli anni più recenti per la sola finalità di ricerca di consenso politico e di affarismo.

Ad oggi – a dispetto dei proclami di un Ministro totalmente incompetente in materia – il Ponte è un’opera irrealizzabile, inutile e dannosa:

  • Irrealizzabile dal punto di vista tecnico, perché come dice da tempo un vero esperto – il Prof. Antonino Risitano – in base al progetto finora elaborato il Ponte non sta in piedi anzitutto perché i cavi non tengono; si aggiunga a ciò l’incredibile sottovalutazione della circostanza di costruire una simile opera in uno dei territori a più alto rischio sismico esistenti ala mondo.
  • Inutile dal punto di vista dei collegamenti tra le due sponde che risulterebbero più difficili e più costosi soprattutto per i pendolari giornalieri; inutile per i collegamenti viari e ferroviari di lunga percorrenza con la Sicilia, a motivo della estrema precarietà delle altre infrastrutture presenti sull’isola.
  • Dannoso dal punto di vista ambientale perché comporterebbe la gravissima alterazione di un ecosistema terrestre e marino di inestimabile valore.

Dunque nel caso di Reggio Calabria la complessità, di per sé insita in quel territorio, è aggravata dalla mancanza di competenza e dalla irresponsabilità che caratterizza le attuali politiche infrastrutturali e di trasporto a livello nazionale.

 

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