Personalità.
L’ultima sono gli alligatori messi a guardia dei migranti detenuti nei nuovi centri di detenzione delle Everglades, in Florida, ‘perché costano meno delle guardie’. La penultima è il desiderio di far aggiungere il suo faccione a quelli scolpiti sulle rocciose montagne di Rushmore dei quattro grandi della repubblica, George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt e Abraham Lincoln. E poi, l’ossessione per il Nobel per la Pace. L’agognato premio che quei woke di Stoccolma non si sbrigano ad assegnargli. I confini tra Donald Trump e Caligola si assottigliano giorno dopo giorno.
Può la nazione più potente del mondo stare nelle mani di una persona dall’ego tanto ipertrofico da rasentare la narcisismoderiva da DNP (Disturbo Narcisistico della Personalità)? In psichiatria (vedi il sistema di classificazione DSM-5) il DNP viene descritto come ‘un quadro patologico di personalità caratterizzato da senso di grandiosità, bisogno di ammirazione e mancanza di empatia e sensibilità verso gli altri. Chi soffre di disturbo narcisistico tende a sovrastimare le proprie abilità e a dare eccessiva importanza ai propri successi e traguardi personali, minimizzando e svalutando quelli altrui. Agli altri risulta quindi spesso vanaglorioso e pretenzioso, costruendo relazioni che gli permettano di confermare l’immagine grandiosa di sé’.
E in linea con la tale psicologia è l’assillo per l’ombra degli Obama e di Biden. Specchio delle mie brame, chi è il più great del reame? E lui spara invettive contro i due ultimi presidenti dem, tacciandoli di tutti i misfatti del mondo. Ma vediamone l’azione politica.
Politica interna.
Molti temono per la tenuta della democrazia sotto i colpi del tycoon. A essa è di tutta evidenza che lui stia provando a dare l’assalto. Lo scrittore italo-canadese Guido Mondino, firma anche di questa testata, ha recentemente pubblicato sul portale della Fitel-CGIL un’impressionante sequela di iniziative del presidente che vanno in questa direzione: “I recenti fatti in California, Minnesota, New Jersey, Wisconsin e New York – guarda caso tutti Stati blu (democratici) – non sono altro che l’incipit di una presa del potere ammantato di sinistri bagliori fascisti, con l’aggiunta del “reality show” a cui The Donald deve la sua notorietà” ha scritto. E giù con l’elenco dei fatti citati.
Ne sottolineiamo solo alcuni, per motivi di spazio.
Tra gennaio, suo insediamento, e febbraio, quando si è tenuta l’annuale Conservative Political Action Conference (Cpac), il Presidente ha concesso il ‘perdono presidenziale’ ai rivoltosi del tentato putsch del 6 gennaio 2021 e il suo supporter di tendenze suprematiste bianche, Jack Posobiec, militante di primo piano della campagna presidenziale dei MAGA, ha dichiarato testualmente nel contesto del Cpac: “Siamo qui per rovesciare la democrazia, ciò che non ci era riuscito il 6 gennaio”. Nessuno, meno che mai The Donald, lo ha interrotto o contraddetto. L’intenzione è quella.
L’invio in California, in violazione della Costituzione federale, della Guardia Nazionale e dei Marines per sedare una rivolta pro-migranti pienamente sotto controllo della polizia di Los Angeles.
L’ammanettamento a favor di telecamere del senatore democratico Alex Padilla in un palazzo federale di Los Angeles durante la conferenza stampa di Khisti Noem, segretaria alla Homeland Security, prima ammesso e accreditato a porre domande, quindi spintonato fuori, gettato a terra e ammanettato.
E l’episodio più inquietante, l’assassinio in Minnesota della deputata Melissa Hortman, uccisa a pistolettate insieme al marito da un militante repubblicano elettore di Trump. Il quale, bontà sua, con un post ha preso le distanze dall’omicida, ma si è anche rifiutato di chiamare al telefono il Governatore del Minnesota per esprimergli la sua solidarietà: “Potrei essere carino e chiamarlo, ma perché sprecare tempo?” (sic!). Il discorso di Mussolini alla Camera dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti fu in confronto un monumento di civiltà democratica.
Chiudiamo sotto questo rispetto con le parole di Mondino: “Trump […] sta creando le premesse per invocare, appena possibile, l’Insurrection Act, la legge del 1807 che gli permetterebbe di riunificare sotto il suo comando la Guardia Nazionale dei 50 Stati e di schierare l’esercito al fine di sedare qualsiasi sommossa, manifestazione, oppure anche un semplice raduno pubblico. Sarebbe l’anticamera dell’instaurazione della legge marziale, il chiodo sulla bara della democrazia Usa”.
Non gli sarà facile però. Non è per un caso fortuito che la democrazia degli USA regga da 250 anni. Alla Casa Bianca sono demandate solo la politica estera, il commercio con l’estero, la difesa e la fiscalità federale. Ma gli Stati della federazione sono appunto cinquanta, ognuno con la sua legislazione interna e le sue guardie nazionali. E le Americhe sono per lo meno tre: la East Coast e la California, cosmopoliti e progressisti; il Mid-West, rurale e conservatore; e l’esagerato Texas petroliere e proiettato verso il futuro, orientato maggioritariamente a destra. Se The Donald calca troppo la mano rischia di provocare una guerra civile. Peraltro gli restano solo altri tre anni e mezzo di presidenza, poi dovrà passare la mano. E già tra un anno e mezzo, a novembre ‘26, ci saranno le elezioni di mezzo, nelle quali rischia di perdere il controllo del Congresso.
Non gli sarà insomma semplice rovesciare la democrazia, ma l’intenzione è quella.
Politica economica.
La storia degli USA non ricorda una gestione così confusa, incoerente, illogica quale quella di primi mesi del Trump-2. Oggi minaccia dazi a destra e manca, domani contrordine, dopodomani di nuovo minacce, quindi accordicchi che hanno nel loro insieme due sole ricadute certe: la sofferenza dell’economia mondiale e di quella degli stessi USA; e l’arricchimento di chi, a cominciare da se stesso e dal suo entourage, sta speculando in borsa col vantaggio di conoscere prima dei competitori le decisioni che saranno prese dalla Casa Bianca. Si chiama insider trading, reato penale anche negli USA, e può comportare una pena fino a venti anni di carcere. O l’impeachment.
Politica estera.
Qui è più agevole rinvenire una logica politica. Trump effettivamente vuole la pace, non c’è alcun dubbio. E non solo per ottenere l’agognato Premio Nobel. Vuole la pace sugli scacchieri aperti nel mondo perché vuole concentrarsi, secondo la Dottrina di Monroe, sulla conquista dell’egemonia totale sull’emisfero occidentale, dall’Artico all’Antartide, dalla Groenlandia alla Terra del Fuoco. Sul resto del mondo vuole che ogni macroarea abbia una potenza ‘regolatrice’ regionale, che eserciti il ruolo a proprie spese e con propri mezzi. Nel Medio Oriente Israele; in Europa la NATO; nel Caucaso la Turchia; in Asia il Giappone e la Corea del Sud; nel Pacifico e Sud Est asiatico l’Australia. Resta scoperta in questo scenario l’Africa, ma ci sarà tempo per individuare la potenza regionale di cui potersi fidare.
È tuttavia giusto riconoscere che in politica estera DT abbia ottenuto alcuni successi indiscutibili, quali la tregua tra India e Pakistan e la pace tra Congo e Ruanda. Come pure è innegabile che con la distruzione per lo meno parziale dei centri di produzione del nucleare militare in IRAN abbia rinviato per un po’ la più grave minaccia incombente sul Medio Oriente e favorito le condizioni per una tregua a Gaza, pur se non ancora ottenuta.
Dove sta toppando del tutto è invece sul fronte russo-ucraino. Continua a dire scemenze sui due bambini capricciosi – Zelenskij e Putin – che gli rompono le scatole con la loro guerra, ma dà l’impressione di voler lasciare campo libero a Putin, negando gli aiuti militari a Kiev. Ultimi i Patriot così necessari per difendere la popolazione civile dai missili del Cremlino, che solo pochi giorni fa aveva invece garantito. Non sa – meglio: fa finta di non sapere – il tycoon quanto odio nutrano gli Ucraini verso l’invasore e quanto siano disposti a morire fino all’ultimo uomo per difendere le loro libertà e indipendenza. Né quanto indifferente sia Putin alle lusinghe disarmate. Lo sanno bene i Finlandesi, gli Estoni, i Lituani, gli Estoni, i Polacchi e tutti i popoli ex sovietici.