Foto by Commissione europea
Ricorderete certamente gli avvenimenti della Catalogna del 2017. Il referendum separatista, la dichiarazione unilaterale di indipendenza della Catalogna, gli scontri di piazza a Barcellona, la destituzione, l’arresto e la fuga all’estero di Puigdemont. La Catalogna chiese al Parlamento Europeo l’adesione all’UE come Stato sovrano e non l’ottenne. Non poteva ottenerla, l’Unione Europea origina da un accordo tra Stati, non tra popoli. L’adesione alla Comunità Europea nel 1986 da parte della Spagna fu sottoscritta dal Capo del Governo e dal Re. La sua appartenenza alla famiglia europea non comportò, e non avrebbe potuto, la rinuncia alla sovranità nazionale.
Lo stesso discorso vale per tutti gli attuali Stati membri, ciascuno sovrano e indipendente, salvo che sulle materie liberamente trasferite agli organi comunitari.
Quando si parla della necessità e dell’urgenza della costituzione di un esercito europeo si dice qualcosa di desiderabile, ma fuori della realtà. Un esercito ha una sua struttura gerarchica, che a sua volta agisce sotto la direzione politica di un governo. Ma la Presidente della Commissione Europea non è assimilabile a un Capo di Governo o di Stato. Non esiste uno Stato europeo, esistono 27 Stati. A quale Capo di Governo o di Stato obbedirebbe l’ipotetico Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate Europee? E c’è uno Stato europeo, uno solo, disposto a consegnare le proprie forze armate ad un potere sovranazionale?
L’unica possibilità potrebbe essere la formazione di una forza armata comunitaria a seguito di accordi di cooperazione rafforzata tra alcuni Stati membri dell’Unione. Qualcosina si è fatta in questo senso, ma si tratta di poca roba, una piccola milizia aggiuntiva rispetto alle Forze Armate dei singoli Paesi, non sostitutiva ad esse.
Eppure, a ben vedere, un ‘esercito europeo’ c’è già e funziona anche bene. È la NATO, che più propriamente è un ‘esercito’ – esercito molto tra virgolette – euro-atlantico, ancorché impegnato pressoché esclusivamente in Europa. Ma è un ‘esercito’ eterodiretto dalla potenza egemone in esso, gli USA. È del tutto evidente che, qualora l’UE volesse darsi una politica estera e della difesa – le due cose si tengono insieme – autonoma dagli USA, dovrebbe dotarsi di un esercito autonomo. Ci torneremo.
Diamo ora uno sguardo d’insieme alla geopolitica planetaria. Tutti gli analisti più accreditati convengono che sotto il profilo politico, economico e militare, il mondo a metà di questo secolo sarà tripolare: America, Cina e India saranno le nazioni egemoni.
Forse è anche per questa ragione che Trump vuole il controllo totale delle Americhe, i soli USA potrebbero non reggere nella competizione con i due colossi asiatici. Così come Putin cerca di incorporare nel Russkij Mir l’Europa, o quanto meno i paesi ex Patto di Varsavia, e con essi anche il Caucaso e la Corea del Nord, nel tentativo di mettersi alla pari con i colossi di cui sopra.
Quando si dice giustamente che l’ordine mondiale post Yalta è tramontato e che occorre ragionare di un nuovo assetto del pianeta ci si riferisce a questa prospettiva, rispetto alla quale tutti si stanno posizionando.
In questo scenario cosa sta facendo l’UE? Quale sarà il suo posto nel mondo a metà secolo?
Continuando così le cose il suo sarà un posto su uno strapuntino, con tutta la fragilità che ne discenderà.
L’Europa è complicata. Non ha da secoli una leadership unica, riconosciuta su scala continentale e nel mondo, come invece ne dispongono Cina, India, USA e Russia. Difficile mettere d’accordo 27 teste prima di prendere una posizione, il che è un handicap non da poco in un periodo di bocce in frenetico movimento. Eppure, con tutti i limiti derivanti dalla sua tormentata storia, resta oggi uno spazio geografico – forse l’unico insieme al Canada – dove vigono, insieme e non ancora minacciate, democrazia politica, libertà civili e welfare in una mirabile sintesi quale mai l’umanità ha conosciuto nella sua storia. Su questa base valoriale si innestano benessere, scienza, conoscenze, cultura, tecnologie, servizi all’avanguardia, manifatture, un’agricoltura di alta qualità e eccellenze ambientali e monumentali che ne fanno la meta preferita del turismo mondiale. Anche le contraddizioni e le ingiustizie, certo, non stiamo qui a sottacerle. È questo spazio geo-politico che viene oggi minacciato dal nuovo ordine mondiale in fieri.
I capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi membri, con le ovvie differenze, sembra lo abbiano ben chiaro e, passetto dopo passetto – di più al momento non riescono – stanno assumendo decisioni che vanno nella direzione della difesa della nostra civiltà. Perché di questo si tratta: della difesa della nostra civiltà.
La nomina dell’estone Kaja Kallas come Alta Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e le Politiche di Sicurezza e quella del lituano Andrius Kubilius alla Difesa e lo Spazio, non sono scelte casuali o non di basso profilo. Estonia e Lituania sono in questo momento tra i Paesi più esposti nei confronti della Russia di Putin. Affidare la Politica Estera e la Difesa dell’Europa a rappresentanti di queste marche di frontiera ha un significato non effimero. Peraltro è la prima volta che l’Unione si è data un suo Commissario alla Difesa. Nella stessa direzione va la costituzione del ‘gruppo dei volenterosi’ disposti ad intensificare il proprio coordinamento militare. Un gruppo che vede partecipe anche il Regno Unito, nonostante la Brexit.
E la nostra vecchia, malandata Europa, prima al cospetto del Covid poi dell’invasione dell’Ucraina, ha dimostrato una vitalità inaspettata. Il PNRR, per parte sua, sta creando una nuova coesione socio-economica tra gli Stati membri; mentre il Rapporto Draghi, nella sostanza condiviso dalla gran maggioranza dei Paesi dell’Unione, ha indicato una strada per il futuro dell’UE.
Dunque è vero, l’Europa in questi ultimi mesi sembra senza voce, smarrita, vulnerabile alla guerra ibrida, esclusa come una cenerentola dai giochi militari e diplomatici del mondo. Ma esiste e resiste. Forte e fiera della sua democrazia!