Francesca Albanese, giurista e docente, è la ‘Relatrice speciale dell’ONU sulla situazione dei diritti umani nel territorio palestinese occupato’. È “una delle persone più competenti e autorevoli sullo ‘status’ giuridico e sulla situazione dei palestinesi – amata (o odiata) in tutto il mondo per l’integrità e la passione con cui si batte in favore dei diritti di un popolo troppo a lungo vessato”. Il libro ci offre storie che intrecciano informazioni, riflessioni ed emozioni: “Un viaggio scandito da dieci persone che hanno accompagnato Francesca a comprendere storia, presente e futuro della Palestina”, a ognuna delle quali è dedicato un capitolo. Le considerazioni citate sono tratte dalla ‘Introduzione’ redatta nello scorso maggio 2025, in cui si afferma che “Mi fa paura una società in cui l’uccisione, la mutilazione, la tortura, lo stupro, la fame, la carestia fanno notizia a seconda di chi ne sia la vittima e chi l’artefice”, ma che pure si conclude con una nota di speranza: “Come un unico corpo, dovremmo riuscire a unirci, incontrarci e resistere… Da soli siamo fragili come le ali di una farfalla, ma uniti – solidi e solidali – possiamo fare una tempesta”.
«Molti continuano a parlare di quello che sta succedendo a Gaza come di un “conflitto”. O, peggio ancora, di un conflitto cominciato il 7 ottobre 2023. In questa lettura c’è tutta la superficialità di chi inizia un libro a metà, ignorandone tante pagine che custodiscono vivide tracce di sangue e dolore: una storia che in realtà affonda le sue radici ben più lontano e che continua a rimanere ignorata.
(…) L’orrore di Gaza è senza precedenti. Quando dico che Israele sta scrivendo una delle pagine più nere della storia, paragonabile ai genocidi del passato, molti mi rispondono che non lo sappiamo ancora con certezza, che bisogna aspettare il verdetto della Corte internazionale di giustizia. Ma la Corte… ha affermato già a gennaio 2024 il rischio di genocidio, ordinando agli Stati di intraprendere azioni che fermassero gli atti genocidari di Israele. Molti Paesi però sembrano non capirlo, o volutamente ignorarlo. Il trattato internazionale si chiama Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio: come possono gli Stati prevenirlo, se non agendo prontamente quando se ne presenta il rischio (come d’altronde afferma la Corte di giustizia)?
E anche lasciando da parte l’aspetto legale, com’è possibile non esprimersi di fronte ad atrocità di questa spietatezza?
(…) La crisi a Gaza è ormai sintomo di una crisi globale… Il sistema che reprime i palestinesi – un’alleanza ben collaudata tra Israele e tutti gli altri Stati le cui élite gli garantiscono l’impunità di cui gode da sempre – è lo stesso al quale apparteniamo noi. È il sistema che decide al posto nostro su questioni determinanti della vita di tutti noi, senza necessariamente ascoltarci e rappresentarci; quello che trasforma il lavoro in precariato e i diritti in privilegi, che fa in modo di alienarci gli uni dagli altri, rendendoci tutti più fragili e insicuri; che considera la solidarietà un atto sovversivo e l’empatia una forma di disfunzione mentale e sociale (…).
Gli Stati Uniti, sotto la presidenza Trump, hanno più volte lasciato intendere che chiunque osi toccare Israele dovrà «vedersela con loro». Un linguaggio minaccioso, che non si addice alla politica come l’abbiamo conosciuta finora, ma che è del tutto coerente con la sostanza di quanto dichiarato dallo stesso Trump, quando ha affermato che “a tutti quelli con cui ho parlato piace l’idea che gli Stati Uniti siano proprietari di quel pezzo di terra”, riferendosi alla Striscia di Gaza. In questa frase c’è tutta la violenza del potere senza freni, che può ottenere tutto attraverso la forza, perché, come un Caligola del Ventunesimo secolo, si considera al di sopra delle leggi. Anzi, le leggi non le vede neppure.
Ebbene, è proprio giunto il momento di vedersela, con gli Stati Uniti e non solo: per noi ‘occidentali’, soprattutto per noi europei, questa è l’occasione per sciogliere i nodi del passato coloniale e cominciare a saldare il nostro debito. È tempo di schierarsi contro la devastazione di Gaza e ciò che resta della Palestina, e di lottare contro un sistema internazionale fondato sull’uso della forza in nome di una cosiddetta ‘pace’, evocata sempre a vantaggio di pochi e sempre usando le parole per mistificare la realtà di ciò che viene commesso (…).
Oggi non è raro imbattersi in argomentazioni come: “Eh, però Israele non vuole mica distruggere i palestinesi. Israele vuole solo sradicare Hamas”, oppure: “Vuole liberare gli ostaggi. Se solo Hamas li liberasse…”.
A queste persone vorrei far notare che se si arriva a bombardare un panificio, se si arriva a uccidere decine di migliaia di bambini, a mutilarne e lasciarne orfani dieci volte tanti, è evidente che le azioni non siano in linea con i motivi dichiarati di liberare gli ostaggi o eliminare Hamas, per quanto pericolosamente vago possa essere un proposito del genere.»
Francesca Albanese, Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite della Palestina.