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LE CITAZIONI: Hillman. Un terribile amore per la guerra

James Hillman

by Ernesto Scelza
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Il grande psicologo junghiano James Hillman, richiama la sua esperienza diretta nella Seconda guerra mondiale in una digressione del testo: “… fui arruolato in Sanità… Avevo diciotto anni appena compiuti, venti al momento del congedo. Dei combattimenti conobbi solo gli effetti. Gli effetti anche nell’Europa “dilaniata dalla guerra”…: gente che frugava nella spazzatura, macerie, profughi”. Hillman indaga la guerra come pulsione primaria e ambivalente della nostra specie – come pulsione, cioè, dotata di una carica libidica non inferiore a quella di altre pulsioni che la contrastano e insieme la rafforzano, quali l’amore e la solidarietà. Il presupposto è che se di quella pulsione non si ha una visione lucida ogni opposizione alla guerra sarà vana. Frantumando la retorica degli adagi progressisti – basati su una lettura caricaturale della ‘pace perpetua’ teorizzata da Kant –, Hillman risale così, in perfetta consonanza con la sua visione della psicologia, al carattere mitologico e arcaico di tale ambivalenza, riassunto nell’inseparabilità di Ares e Afrodite”.

 

«Istinto aggressivo dell’individuo o pretese espansionistiche del gruppo sociale? Le varie divergenti opinioni circa le origini della guerra sono riconducibili a due posizioni di fondo. Da un lato, le teorie improntate alla psicoanalisi, che incardinano la natura umana alla perdita infantile degli oggetti d’amore e al trauma della nascita; e le teorie fondate sulla biologia animale (meccanismi innati di combattimento o fuga; il gene che lotta per diventare dominante). Dall’altro lato, abbiamo le teorie che considerano la guerra un prodotto della struttura interna dei gruppi, dei loro sistemi di credenze, delle loro pretese territoriali, delle loro esigenze riproduttive esogamiche e della psiche collettiva della folla.

In entrambi i casi, sia la guerra considerata una pulsione umana o un bisogno della società, si rende necessaria l’immagine di un nemico. La guerra, scrive Hobbes, è una situazione in cui ogni uomo è nemico a ogni altro uomo, e Clausewitz ripete che occorre “avere sempre in mente il nemico”. L’idea di Altro o di alterità che domina oggi il discorso filosofico su genere, razza ed ecologia è troppo astratta per scatenare “i cani della guerra”. Provate a immaginare una guerra senza prefigurarvi un nemico: è impossibile. Che l’obiettivo sia una preda, una vittima sacrificale, uno spirito maligno o un oggetto del desiderio, è l’idea di nemico a mobilitare l’energia. La figura del nemico alimenta le passioni della paura, dell’odio, della collera, del desiderio di vendetta, della furia distruttiva o della concupiscenza, fornendo quel sovrappiù di energia compressa che rende possibile il campo di battaglia.

La guerra si appoggia bensì sulle rimozioni e/o pulsioni aggressive dell’individuo, sul suo piacere di aggredire e distruggere, sul suo appetito per lo straordinario e lo spettacolare, sul suo bisogno ossessivo di autonomia. Essa sfrutta l’energia di tali pulsioni individuali e le sottomette a sé, senza di che non potrebbe esistere; ma non è psicologia individuale potenziata. Gli individui sono capaci di violenze efferate, certo; le famiglie alimentano faide e scatenano vendette, ma questa non è guerra. “I soldati non sono assassini” (Hannah Arendt, Sulla violenza, ndr).

Perfino le truppe meglio addestrate e meglio comandate rivelano una forte “resistenza inconscia a uccidere” (Samuel Lyman Atwood Marshall, Men Against Fire. The Problem of Battle Command, ndr), che ostacola sul piano tattico la realizzazione della strategia. La guerra la può fare soltanto una ‘polis’ (una città, uno Stato, una società): “L’unica fonte della guerra è la politica” ha scritto Clausewitz. “La politica è l’utero in cui si sviluppa la guerra”. Perché siano mobilitati gli impulsi aggressivi e di conquista individuali e da quell’utero emerga la guerra, ci vuole un nemico. Il nemico è la levatrice della guerra. Il nemico fornisce l’immagine capace di costellare tali impulsi nell’individuo ed è necessario allo Stato per raccogliere gli individui in un corpo belligerante coeso.»

James Hillman, Un terribile amore per la guerra.

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