Leggendo il lungo e complesso documento denominato “Documento strategico – Variante alla vigente disciplina urbanistica finalizzata alla revisione delle regole e modalità di attuazione della pianificazione urbanistica attuativa” – in sintesi una variante al PRG del 2004 – si ha la netta sensazione che sia stato elaborato da persone competenti e animate da buone intenzioni nei confronti della qualità urbana di una grande e complessa città come Napoli, e alcuni dei nomi degli estensori sono una garanzia in questo senso.
Tuttavia la sensazione ancora più netta e, purtroppo, del tutto negativa è che questo documento che si propone di rifondare il modo di fare urbanistica a Napoli sia in netto ritardo rispetto ai fenomeni che da almeno venti anni stanno incidendo profondamente sulle città e ancor più lo faranno da qui in avanti.
Provo ad argomentare con alcune osservazioni nel merito.
La logica che la Variante propone è strettamente di tipo normativo, vale a dire che muove dal presupposto che la qualità del fare urbanistica a Napoli possa essere migliorata modificando-integrando le norme di attuazione del vigente PRG.
Al di là della ingenuità di un tale obiettivo – anche in considerazione del fatto che il PRG ha alle spalle ventuno anni di gestione non propriamente edificante, durante i quali è accaduto di tutto – affermare che con la variante si vuole coprire il tempo intercorrente fino alla entrata in vigore del redigendo PUC – Piano Urbanistico Comunale significa semplicemente rinunciare ad una idea di città futura e a quanto occorre sul terreno dell’urbanistica per perseguirla.
Pur volendo rimanere nella logica di tipo normativo, perché non avviare immediatamente il PUC dandogli un tempo breve di elaborazione-approvazione e accompagnandolo con apposite misure di salvaguardia?
La risposta che si evince dalla lettura del documento è che in realtà non vi è alcun interesse per il PUC perché con la variante si punta a consolidare un piano di fatto, come appare da alcune delle proposte, come l’elusione di regole scritte in nome del mito della semplificazione o come la traballante interpretazione di cosa sia la rigenerazione urbana.
Detto questo circa la logica normativa della Variante, va comunque detto che il nodo della questione urbanistica è del tutto diverso e riguarda il modo di ripensare le città – tutte le città – alla luce dei fenomeni che si stanno verificando: crisi climatica, transizione energetica, inverno demografico, sperequazioni economiche, aberrazioni urbane, intelligenza artificiale, per dire dei più eclatanti.
Sono fenomeni in atto da molti decenni – anche se solamente di recente se ne è presa piena consapevolezza – che stanno avendo e avranno sempre più incidenza sulla struttura e sulla forma delle città, a partire dalle grandi città e relative aree metropolitane, quale è Napoli.
Di fronte ad un simile scenario è tutto ciò che riguarda la città e le sue prospettive future che va ripensato, il che ha come ovvia implicazione che va completamente ripensata l’urbanistica, chiudendo una volta per tutte la sconfortante vicenda della riforma della Legge 1150/42. Eludere questo scenario e intervenire per via normativa può condurre solo a situazioni distorsive, come quella che si sta disvelando a Milano.
E’ auspicabile che non sia questa la strada che si intende percorrere a Napoli, che ha bisogno di confrontarsi a tutto tondo con la sua complessa e controversa storia, con la sua difficile condizione attuale e con gli stringenti fenomeni in atto, e da questo confronto partire per elaborare una strategia di alto profilo e di lunga prospettiva.
Ed è su questo terreno che si misura la volontà-capacità di elaborare e realizzare un’idea per la Napoli del futuro che esprima livelli elevati di funzionalità e qualità urbana.
Per dirla con uno slogan: farla diventare una città bella, efficiente, equa, sicura e sostenibile.