Plateau del Tempio di venere. Foto by Guida completa per visitare gli Scavi di Pompei.
Questo articolo comincia dove si è chiuso il precedente, che era il secondo articolo ad avere per tema la vita e le opere di Carlo Bonucci, antichista e architetto napoletano dell’Ottocento, che fu anche Direttore degli Scavi di Pompei e di quelli di Ercolano.
Il motivo del riaccendersi dell’interesse su Carlo Bonucci deriva però anche dalle novità emergenti su Pompei, in particolare sulla storia degli Scavi, riportate con immediata trasparenza nel Comunicato Stampa del Direttore del parco Archeologico di Pompei, Zuchtriegel.
Da studioso attento, Gabriel Zuchtriegel ha diffuso con alcuni suoi diretti collaboratori – Luca Borsa, Anna Onesti, Luca Salvatori, Giuseppe Scarpati – anche attraverso l’E-Journal, la notizia delle evidenze accertate. Le quali testimoniano la permanenza plurisecolare di gruppi stanziali di abitanti e frequentatori, “sopra e dentro” le macerie della antica Pompei, affioranti dal ricoprimento della eruzione vesuviana del 79 d.C. e quindi in vista. Tra l’altro egli scrive: Così, nelle antiche case e strutture ritornava la vita, ma gli ambienti che una volta erano al pianterreno ora diventavano scantinati e caverne, dove si allestivano focolari, forni e mulini. In pratica, l’eruzione pliniana non era riuscita a “sommergere” completamente la romana Pompeii e i suoi edifici e monumenti più importanti. Essi erano rimasti, dunque, visibili in più zone.
La verità vera, però, emerge ora con chiarezza ineludibile dagli scavi – più accuratamente condotti oggi nell’Insula Meridionalis – che ripropongono brani di Storia negata o volutamente ignorata o, almeno, trascurata – stante la prevalente vulgata storica ufficiale, quasi totalitaria, sulla Pompeii “sepolta” dal Vesuvio, capeggiata da Giuseppe Fiorelli, “padre padrone” dei Pompeianisti. Fiorelli di suo aggiunse l’impegno personale alla celebrazione della “romanità” di Pompei, grata al nuovo “regime” sabaudo, prima e sopra ogni altra cosa. E si pose su una posizione negazionista circa la straordinaria “pre-romanità” di Pompei, disponendosi sempre a sostenere anche le tesi della completa “scomparsa” della Pompeii romana sotto le coltri vulcaniche vesuviane, per circa un millennio e mezzo.
Ciò, però, non valse, a tacitare alcuni studiosi che amiamo definire “eretici”.
Tra essi – non certo numerosi – possiamo inserire a buon titolo Carlo Bonucci, che ebbe con Fiorelli, e non solo con lui, un rapporto altalenante, anche conflittuale, che arrivò fino alle aule dei tribunali.
Bonucci fu, comunque, tra i primi a scrivere di una frequentazione nata poco dopo la eruzione pliniana e durata fino alla seconda metà del Quinto secolo d.C. e forse interrottasi con l’eruzione del 472 d.C., come ipotizza nella sua opera fondamentale “Pompei Descritta”.
Una frequentazione cominciata molto probabilmente dai nativi stessi in qualche modo sopravvissuti alla eruzione, ma messa in atto anche dai fossores – cioè gli scavatori, anche schiavi e liberti, oltre che cittadini pompeiani autorizzati da Roma – che cominciarono a scavare negli strati eruttivi ancora caldi.
Una frequentazione accertata per quanto riguarda i curatores rei publicae Pompeianorum – cioè gli incaricati di sovrintendere all’attività di sgombero dei materiali recuperati nel sito distrutto – spesso inviati da Roma per il recupero dei beni materiali non distrutti dall’eruzione ma rimasti sepolti sotto vari metri di cenere e lapillo vesuviani. O anche per vigilare sulle proprietà coloniali e sui templi pubblici ancora accessibili, in qualche modo, dopo l’eruzione. Bonucci, ad esempio, fa un vago accenno alla possibilità di un riuso posteruttivo del Tempio di Iside, ma non scrive altro.
A questa gente – in vario modo titolata a rimanere in sito stanzialmente – si aggiunsero con il passar del tempo anche un mix di sciacalli, ladri, mercanti di suppellettili antiche e scavatori di altro materiale marmoreo e lapideo recuperato a Pompei, utile a far calce viva del calcare, e dai marmi nelle vicine carcarelle, attive presso il Porto di Torre dell’Annunziata.
Da questo quadro appena delineato si capisce come sia stato ben scelto dal Parco archeologico di Pompei il termine di paragone della favela, l’abitato spontaneo, malmesso, malcurato e malfamato, tipico dei sobborghi periferici della megalopoli brasiliane. Appariva quindi, forse, come una favela anche l’agglomerato paleourbano sviluppatosi lungo il fronte meridionale lavico della Pompeii distrutta, che godeva di due concreti vantaggi: a valle la vicinanza con la strada che portava da Napoli a Nocera e a monte la contiguità con l’area del foro pompeiano, che doveva presentarsi come un vasto pianoro depresso al centro e slabbrato sui bordi per i tanti sterri.
Il termine plateau scelto dal parco, anche in questo caso calza a pennello. E dal plateau i depredatori potevano portar via statue e rivestimenti marmorei, oltre che il vasto calpestio di lastroni di calcare che davano ottima calce.
Per chiudere, torniamo a Bonucci e a Fiorelli, perché riteniamo che non fu per caso che la reciproca antipatia dei due si sia alimentata fino alle sedi giudiziarie. Essi rappresentavano due mondi lontani e ormai inconciliabili. Ma certo è che Bonucci fu capace di assumere a tutto campo posizioni coraggiose e, per i tempi, sapide di eresie.
Le analizzeremo nel prossimo articolo.