È la ‘Premessa’, ‘Da parte dell’autore’, con cui Fëdor Dostoevskij apre ‘I fratelli Karamazov’, il suo ultimo romanzo, e uno dei capolavori assoluti della letteratura universale, ma anche della filosofia e della psicologia di tutti i tempi. Vi si fa cenno al progetto iniziale che ne faceva solo la prima parte di una biografia incentrata su Alëša Karamazov, il fratello dotato di profonda spiritualità, un progetto rimasto incompiuto per la morte dell’autore, quattro mesi dopo l’uscita del romanzo, pubblicato a puntate dal gennaio 1879 al novembre 1880. Da allora ad oggi, ogni letterato, ogni pensatore ha dovuto confrontarsi con i temi che vi sono trattati, anche oltre quello espressamente dichiarato dallo stesso Dostoevskij: “Il problema principale che sarà trattato in tutte le parti di questo libro è lo stesso di cui ho sofferto consciamente o inconsciamente tutta la vita: l’esistenza di Dio”.
«È con una certa perplessità che mi trovo a cominciare la biografia del mio eroe Alekséj Fëdorovič Karamàzov. E cioè: benché chiami Alekséj Fëdorovič il mio eroe, tuttavia, io stesso so che non è affatto un grand’uomo e perciò già prevedo inevitabili domande quali: ma che vi è di così notevole nel vostro Alekséj Fëdorovič perché lo scegliate come eroe? Che ha fatto mai di così importante? Per che cosa è noto e a chi? E per quale motivo io, lettore, dovrei perder tempo a esaminare le vicende della sua vita? L’ultima domanda è la più imbarazzante poiché a essa posso solo replicare: “Ve ne accorgerete forse voi stessi leggendo il romanzo”. E se poi invece il libro verrà letto senza che ci si avveda e ci si renda conto della singolarità del mio Alekséj Fëdorovič? (…) Una cosa, però, è indubbia: è un uomo strano, anzi uno stravagante. Ma la stranezza e la bizzarria nuociono anziché facilitare, quando si vorrebbe accostare tra di loro dei fatti d’eccezione e nel generale scompiglio trovarvi un senso comune. Uno stravagante è nella maggioranza dei casi un’eccezione isolata. Non è così? Ma ecco, se concorderete con quest’ultima tesi e replicherete: “Non è così” oppure: “Non è sempre così”, ciò mi rincuora riguardo all’importanza da attribuire al mio eroe Alekséj Fëdorovič. Poiché non solo uno stravagante “non sempre” è solo un caso isolato, ma anzi può talvolta accadere che racchiuda in sé l’essenza dell’universale, mentre tutti gli altri uomini della sua epoca paiono chissà perché come dispersi e spazzati via dal vento. Del resto, se così non fosse, non mi sarei impegolato in queste poco attraenti e confuse spiegazioni, ma avrei cominciato immediatamente, senza premesse: tanto se il libro piacerà lo si leggerà anche così; il guaio è che di biografie io ne ho una sola e di romanzi invece due. Il romanzo, il secondo, narra l’attività del mio eroe già ai nostri giorni, nell’immediato presente; ma il primo romanzo che si riporta a tredici anni prima, quasi non è un romanzo, bensì solo un momento della sua prima giovinezza. Rinunciare a questo primo romanzo mi sarebbe impossibile poiché molto, nel secondo, riuscirebbe incomprensibile. In tal modo, però, la mia difficoltà iniziale si complica: se io, che sono il suo biografo, trovo che per un eroe così modesto e oscuro anche un solo romanzo sarebbe già di troppo, per quale ragione presentarne due e come spiegare una simile sfrontatezza da parte mia? Poiché a voler risolvere questi problemi mi ci perdo, mi decido intanto a procedere senza risolverli affatto. (…) E inoltre sono persino lieto che il mio romanzo si sia scisso da sé in due racconti “pur nella sostanziale unità dell’insieme”: fatta conoscenza con il primo, il lettore stabilirà da sé se valga la pena di passare al secondo. Certo, nessuno vi è obbligato, si può gettar via il libro anche dopo le prime due pagine del primo racconto senza più riaprirlo. Ma vi sono lettori così raffinati che vorranno leggerlo a ogni costo fino in fondo per non fallire nei loro imparziali giudizi; tali sono, per esempio, tutti i critici russi. Così, quanto a costoro mi sento il cuore più leggero: malgrado tutta l’ambizione e la coscienziosità di cui danno prova, offro loro il pretesto più valido per abbandonare il romanzo fin dal primo episodio. Ed eccovi tutta l’introduzione. So perfettamente che era inutile, ma dal momento che ormai è stata scritta, lasciamola pure.»
Fëdor Michajlovič Dostoevskij, l’autore de I fratelli Karamazov (trad. Nadia Cigognini e Paola Cotta Ramusino).