A differenza del Governo Provvisorio, che soffriva di una persistente mancanza di legittimità e di una costante esitazione nel prendere decisioni chiare e definitive, i bolscevichi si distinsero, soprattutto nei primi mesi al potere, per la rapidità e la risolutezza dei provvedimenti adottati.
Infatti, appena salito al potere, il partito bolscevico emanò immediatamente quattro decreti.
Il primo dei decreti fu quello sulla pace; credendo sinceramente nell’internazionalismo, Lenin riteneva la perdita dei territori ad occidente un problema secondario, e spinse fortemente affinché venisse firmato un armistizio e si cessassero immediatamente le ostilità.
Il trattato di pace vero e proprio, conosciuto come “la pace di Brest-Litovsk”, fu firmato successivamente nel marzo 1918 quando, occupati nella guerra civile che stava divampando nel paese, i bolscevichi dovettero far i conti con l’esercito che tedesco che continuava ad avanzare per spingere i russi a ratificare la perdita dei territori ad ovest. A firmare la pace fu mandato il compagno Čičerin, il quale si ritrovò a cedere ufficialmente i territori della Finlandia, Polonia, Paesi Baltici, Ucraina e Bielorussia occidentale; il trattato suscitò un forte malcontento in coloro i quali credevano nell’importanza dell’integrità territoriale dell’ex impero, e riportò i confini russi alla configurazione del Seicento, prima dell’ascesa di Pietro il Grande.
È importante sottolineare che, avendo dichiarato l’indipendenza qualche settimana prima della firma del trattato, l’Ucraina negoziò autonomamente con la Germania, firmando la “pace del grano” che prevedeva il riconoscimento tedesco della propria sovranità in cambio di importanti esportazioni di grano.
Il secondo decreto riguardava la questione della terra; a tal proposito bisogna ricordare come, con lo sgretolamento dell’esercito zarista, i soldati, che erano perlopiù di origine contadina, fecero ritorno alle proprie terre armati fino ai denti, eliminando i padroni e impossessandosi degli appezzamenti. Il decreto del nuovo governo interveniva proprio su tale tema; pur andando contro l’ideale comunista di nazionalizzazione e statalizzazione delle terre, il partito ratificò la socializzazione delle terre avvenuta in maniera spontanea, legittimandola. In questo modo, Lenin si assicurò il supporto della classe contadina, disinnescando la possibilità di una rivolta nelle campagne. Solo successivamente, quando ormai fu consolidato, il regime bolscevico si occupò di nazionalizzare le campagne.
Come si vedrà più avanti, anche nel caso della Nep la ferrea dottrina comunista fu piegata alle esigenze del momento; il realismo politico che si riscontra nei primi anni del regime era una caratteristica della personalità di Lenin, il quale era capace di fare i conti con la realtà del proprio popolo e comprendere quando era necessario piegare la dottrina per salvare il paese e il potere del partito.
Il terzo decreto interessava il delicato tema delle nazionalità; tale provvedimento riconosceva a tutti i popoli dell’ex impero zarista il diritto all’autodeterminazione, inclusa la facoltà di secessione. La reazione all’emanazione del decreto fu la dichiarazione d’indipendenza di Finlandia, Polonia, Paesi baltici, Ucraina (nel 1917 aveva dichiarato l’autonomia dal governo provvisorio, nel 1918, grazie al decreto, dichiarò l’indipendenza), Georgia, Armenia e Azerbaigian. Oltre ad essere un fautore dell’autodeterminazione dei popoli, Lenin era anche apertamente in lotta contro lo sciovinismo, quella corrente di pensiero, fortemente radicata nella destra russa, per la quale ucraini e bielorussi siano in realtà russi, distinguendo tali popolazioni in “piccoli russi” e “russi bianchi”.
Come sarà analizzato in seguito, in un secondo momento, Lenin si preoccupò di reincorporare parte dei territori perduti in nome dell’esportazione e sopravvivenza della rivoluzione.
Il quarto e ultimo decreto che segnò l’attività politica dei primi mesi di vita del regime, fu la vera e propria istituzione del nuovo governo; con il nome di Sovnarkom, ossia Consiglio dei commissari del popolo, il 27 ottobre del 1917 del calendario giuliano, nacque ufficialmente il governo bolscevico, con Lenin come suo leader.
In questa fase si assiste ancora alla coalizione dei comunisti con gli SR di sinistra, che era però destinata a sfasciarsi con gli esiti delle elezioni per l’Assemblea costituente.
Forti del consenso ottenuto in seguito ai decreti emanati, infatti, il nuovo governo rosso provvide alla promulgazione della nuova legge elettorale a suffragio universale maschile e femminile, necessaria per le imminenti elezioni per la Costituente.
A discapito di ciò che i leader del partito credevano, l’esito delle elezioni non espresse una maggioranza per i bolscevichi, bensì per i socialisti rivoluzionari. Infatti, gli SR ottennero il 38% dei voti, i bolscevichi il 24%, i cadetti il 5% e i menscevichi il 3%.
Insoddisfatti dell’esito elettorale, i bolscevichi misero presto in discussione la legittimità dell’Assemblea costituente. Dopo averne permesso la convocazione il 5 gennaio 1918, ne impedirono i lavori già alla prima seduta, sciogliendola e chiudendone le porte con la forza.
Con l’uscita ufficiale della Russia dal campo di battaglia, la Grande Guerra continuò per quasi tutto il 1918, quando nel novembre di quell’anno la Germania concordò la propria resa. Il 28 giugno del 1919 fu firmato il trattato di Versailles che sancì ufficialmente la fine dello stato di guerra tra Germania e Alleati.
La fine della Prima guerra mondiale, oltre a segnare un fortissimo impatto economico sul Reich tedesco, costituì anche la caduta delle aquile, ossia il crollo degli imperi multietnici: l’impero ottomano, austriaco, tedesco e russo si disintegrarono. La nascita di nuovi stati-nazione, seppure mossi da ambizioni imperiali, portò all’inaugurazione di una politica “post-imperialista” che prevedeva la sottomissione di popoli e nazioni attraverso strategie culturali, diplomatiche ed economiche piuttosto che militari.
L’adozione di una politica “post-imperialista” riguardò gli altri paesi europei, Francia e Gran Bretagna, solo alla fine del secondo conflitto mondiale, portando a dinamiche globali intricate e tendenzialmente meno esplicitamente visibili.
Questa nuova dottrina politica costituì un’eredità che avrebbe continuato a segnare il corso del Novecento e oltre.