Napoli piange uno dei suoi figli più grandi: James Senese. La città perde non solo un artista, uno dei sassofonisti più intensi e riconoscibili della scena italiana, ma una voce autentica che per decenni ha raccontato la sua anima più profonda. Senese è morto a 80 anni per una grave polmonite, lasciando dietro di sé una traccia incancellabile di musica e verità.
Collaborò con Bob Marley e Gil Evans, scoprì e affiancò Pino Daniele, fondò gli Showmen e soprattutto i Napoli Centrale, band simbolo del jazz rock degli anni Settanta. Figura di riferimento per intere generazioni di musicisti.
Era nato nel 1945 nel quartiere di Miano, periferia nord della città, da madre italiana e padre afroamericano, Senese era un “figlio della guerra”, e la sua storia personale somigliava a quelle cantate nella Tammurriata nera. In un’Italia ancora attraversata da pregiudizi, la sua diversità divenne prima ferita e poi risorsa: attraverso la musica trovò il riscatto, trasformando la marginalità in energia creativa. Da quella condizione di frontiera nacque il suo linguaggio musicale, potente e libero, riconosciuto e amato in tutto il mondo.
Con il suo sax, James Senese ha dato voce al cuore pulsante di Napoli. Nelle sue note c’era la città intera: la rabbia e la grazia, la fatica e la speranza, il battito di una metropoli meticcia e fiera. La sua musica, vibrante e viscerale, ha attraversato i decenni raccontando la dignità di chi non smette di cercare. Nel 1975 fondò i Napoli Centrale, e da lì nacque qualcosa di completamente nuovo: il Neapolitan Power, un movimento che univa le radici partenopee alla modernità del jazz, del rock e del funk. Fu una rivoluzione sonora e culturale che avrebbe influenzato a lungo la musica italiana.
Senese amava dire di non aver mai scritto “canzonette a tavolino”. La sua era musica di partecipazione, un atto politico e poetico insieme, un grido contro le ingiustizie e le ipocrisie. Nel suo sax tenore e soprano si intrecciavano dialetto napoletano, ritmo tribale, spiritualità africana e malinconia blues. Lo diceva lui stesso con orgoglio: «Sono nato nero e sono nato a Miano… lo suono a metà strada tra Napoli e il Bronx… il mio sax porta le cicatrici della gioia e del dolore della vita».
L’incontro con Pino Daniele fu la scintilla che cambiò per sempre la musica italiana. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, quei due musicisti trasformarono Napoli in un laboratorio sonoro in cui jazz, blues, rock e dialetto si fusero con naturalezza.
Senese, con il suo sax tagliente e spirituale, divenne la voce strumentale di un mondo urbano e profondo; Daniele, con la chitarra e la scrittura, ne tradusse le emozioni in parole e melodia. Insieme inventarono un modo nuovo di raccontare la città: non più folclore, ma verità contemporanea, meticcia, universale.
James era per Pino un fratello maggiore, una bussola morale; Pino per lui una spinta verso la canzone come racconto del presente. Il loro dialogo non finì mai davvero: continua ogni volta che un sax o una chitarra evocano quella Napoli inquieta, libera, innamorata della vita.
