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Addio a Lea Massari, l’Anna Karenina della nostra memoria

un’idea di recitazione sobria, letteraria, esatta

by Francesca Pica
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Ci sono voci che non hanno bisogno di urlare per farsi ricordare. Voci che, senza apparire, restano. Lea Massari era una di quelle. Se n’è andata in silenzio, com’era vissuta: con la grazia di chi non ha mai cercato il centro della scena, eppure l’ha occupato per decenni.

Il suo nome non è quello che si incontra nei rotocalchi della nostalgia, eppure pochi volti hanno segnato l’immaginario letterario-televisivo italiano quanto il suo. Perché fu lei la prima Anna Karenina televisiva. Era il 1974, e lo sceneggiato Rai diretto da Sandro Bolchi portò Tolstoj dentro le case, nei salotti, negli occhi del grande pubblico. Ma fu Lea Massari, con la sua interpretazione tormentata, elegante, mai compiaciuta, a incarnare per una generazione intera il destino tragico di Anna.

Nel bianco e nero di quella Russia ricostruita con fedeltà artigianale, la Massari fu una Karenina tutta italiana e allo stesso tempo universale. Non una donna “bella e dannata” nel senso più abusato, ma una creatura fatta di esitazioni, di orgoglio, di sguardi trattenuti. Un’Anna umana, contraddittoria, tormentata nel dolore, mai eccessiva, e per questo, ancora più penetrante.

Non era la seduzione a guidarla, ma il dissidio. Ogni scena con Vronskij (interpretato da Giulio Bosetti) era un duello tra dovere e desiderio, tra dignità e smarrimento. La Massari scelse un registro sottile, fatto più di silenzi che di grida. La sua Anna non implorava, non si difendeva: semplicemente crollava, e noi assistevamo impotenti, come davanti a una valanga lenta.

Fu una prova attoriale di raro equilibrio. Niente manierismi, nessuna concessione alla lacrima facile. La regia di Bolchi, classica e rigorosa, trovò nella Massaro l’interprete ideale: misurata, intensa, credibile. Era teatro della coscienza più che del corpo. La sua Anna non aveva bisogno di essere spiegata: bastava guardarla negli occhi, quegli occhi grandi, spesso pieni d’ombre, per sentire tutto il peso di un amore che diventa colpa.

È difficile oggi restituire il valore di quello sceneggiato, nell’epoca delle serie Tv compulsive e dei drammi seriali dalle sceneggiature iper-accelerate. Ma nel 1974, la Anna Karenina di Bolchi fu un evento culturale. E Lea Massari ne fu l’anima.

Oggi che se ne va, ci rendiamo conto che è sparito qualcosa di più di una brava attrice: è sparita un’idea di recitazione sobria, letteraria, esatta. Un modo di portare la letteratura al grande pubblico con rispetto, senza effetti speciali. Senza clamori. Con la sola forza della voce e della presenza.

A chi oggi volesse capire cos’è Anna Karenina, consigliamo prima di leggere Tolstoj. Ma subito dopo di guardare quella vecchia versione RAI. Di osservare Lea Massari entrare in scena, abbassare lo sguardo, dire poche parole. E poi restare in silenzio, perché quel silenzio parla. E racconta tutto.

 

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