B come balena
Cosa cerca davvero Achab nella sua frenetica rincorsa a Moby Dick. Cosa rappresenta l’enorme cetaceo nella realtà ma soprattutto nell’immaginario del capitano e di tutti i membri della Pequod.
E’ il mistero, la morte, ma nello stesso tempo nello sfidarla c’è tutta la metafora della vita dell’uomo, della sua corsa verso i desideri, l’irraggiungibile, la fuga dalla noia che spinge l’uomo alla ricerca di questo “grande fantasma incappucciato come una collina di neve nell’aria”.
La balena è bianca (di nuovo la b). Il bianco è, come il nero, un non colore, è il colore del lutto, del lenzuolo funebre, dei fantasmi. Il colore di Moby Dick è la quintessenza di tutte le cose orribili dell’universo e della vita umana. Cercarla, cacciarla ed infine esserne sopraffatti è ciò che capita ad Achab e a noi con lui.
Fuori da quelle più ovvie considerazioni intorno a Moby Dick che non potevano non risvegliare occasionalmente nell’anima di chiunque una certa apprensione, c’era al suo proposito un altro pensiero, o piuttosto un orrore vago, senza nome, che a volte soverchiava completamente tutto il resto con la sua intensità; eppure era tanto mistico e quasi indicibile, ch’io quasi dispero di renderlo in forma comprensibile. Era la bianchezza della balena che sopra ogni altra cosa mi atterriva (…) sempre cova nell’intima idea di questo colore qualcosa di elusivo che incute più panico all’anima di quel rosso che atterrisce nel sangue. (dal cap. XLII La bianchezza della balena)
La lotta di Achab è impari, la sua nave sarà travolta, il capitano sparirà tra i flutti, la balena avrà il sopravvento.
Queste le ultime scene:
Io volto la schiena al sole. Oè, Tashtego! fammi sentire il tuo martello. Oh voi, mie tre guglie indomabili, tu chiglia intatta, oh scafo, minacciato soltanto da un dio! tu, sicura coperta, tu, barra superba, tu, prora dritta al cielo: nave gloriosa fino alla morte! devi dunque perire, e senza di me? Mi è tolto anche l’ultimo caro orgoglio del più meschino capitano naufrago? Oh, una morte solitaria dopo una vita solitaria! Ora sento che la mia maggiore grandezza sta nel mio maggior dolore. Olà, olà! dai più lontani confini, rovesciatevi ora quaggiù, flutti audaci di tutta la mia vita trascorsa, e ammucchiatevi in questo grande cavallone della mia morte! A te vengo, balena che tutto distruggi ma non vinci; fino all’ultimo lotto con te; dal cuore dell’inferno ti trafiggo; in nome dell’odio, vomito a te l’ultimo mio respiro. Affondino tutte le bare e tutti i carri funebri in una pozza comune! E poiché né l’una né l’altra di queste due cose sono per me, che io allora sia rimorchiato in pezzi, mentre continuo a darti la caccia, quantunque legato a te, a te dannata balena! Così io getto le armi”. Il rampone venne scagliato; la balena colpita filò innanzi, e con velocità da far faville la lenza scorse nella scanalatura ma s’imbrogliò. Achab si piegò a disimpegnarla, la disimpegnò; ma la volta volante lo prese intorno al collo e, senza una parola, come i Muti turchi strangolano la vittima, venne strappato dalla lancia prima che l’equipaggio si accorgesse che non c’era più. L’istante dopo, il pesante occhiello impiombato in cima al cavo volò fuori della tinozza vuota, abbatté un rematore e, staffilando il mare, scomparve nei gorghi. (dal cap. CXXXV La caccia)
E qual è la nostra Balena bianca? Contro quali demoni interiori lottiamo ogni giorno? Soccomberemo certo ma avremo navigato ed affrontato le tempeste come ogni Achab deve, per sua natura, fare.