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Battiato. Orfeo

by Piera De Prosperis
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Il termine poesia deriva dal verbo greco poiein, fare. Il poeta è colui che fa, costruisce, non manufatti ma parole che diventano strumenti di rivelazione di verità superiori. Al poeta, nell’antichità era dovuto un rispetto particolare, era circondato da un alone di sacralità, dovuto al suo essere depositario di una facoltà divina.

Narra la leggenda che Orfeo, il poeta per eccellenza, fosse figlio della musa della poesia epica Calliope e del re Eagro. In questo modo il mito tendeva a trasferire nell’umano le doti poietiche di una musa: Orfeo anello di congiunzione tra gli dei, protettori delle arti in genere, e gli uomini, tanto bisognosi di verità da seguire. Il poeta ha, quindi, nella società arcaica greca ma anche in quella classica un ruolo fondamentale di vate, di guida per gli uomini, alla luce di quello che la divinità vuole. La morte di Orfeo avverrà in maniera atroce, dilaniato dalle baccanti istigate da Dioniso perché il poeta, dopo la discesa agli Inferi, rifiutava di onorarlo. La figura di Orfeo subisce, quindi, nel mito, un’evoluzione. Non è più solo colui che riesce ad ammansire belve feroci e divinità infere, commosse dal suo canto. Diventa l’emblema della consapevolezza della fragilità dell’uomo di fronte al decreto ambiguo ed inesorabile del destino. Si volgerà a guardare Euridice e la perderà per sempre. Secondo una leggenda la testa di Orfeo ucciso, insieme con la lira, avrebbe raggiunto, trasportata dalle onde del mare, l’isola di Lesbo, dove la testa dava oracoli in un tempio di Dioniso, mentre la lira era conservata nel tempio di Apollo.

Razionalità e passione, Apollo e Dioniso, gli estremi entro cui si muove il poeta.

E’ quanto ho pensato alla notizia della morte di Franco Battiato.

Tante cose sembrano concorrere ad una simile identificazione. La nascita in una realtà magnogreca. La sua Sicilia, tanto amata e tanto profondamente ispiratrice. Riposto, Milo, Catania. Luoghi dell’animo non estranei forse a quel suo essere sempre alla ricerca del senso profondo delle cose.

Sperimentatore ed innovatore, in lui convivevano la tradizione alta e quella pop, filosofie orientali e meditazione trascendentale, la musica classica e quella elettronica. Il tutto rielaborato in maniera libera da qualunque vincolo discografico, pur essendo ogni sua apparizione ed ogni suo prodotto ammantato da un’aura di epifania. Forse nessuno dei cantautori ha saputo meglio rendere la profondità dei temi e dei sentimenti che solitamente chiediamo alle canzoni. Non sono solo canzonette le sue, ma produzioni liriche che, nell’asprezza dei testi, danno ad ognuno di noi la possibilità di riflettere. La sua sparizione negli ultimi tempi ha contribuito a creare il mito. Non sarà stato certo dilaniato dalle baccanti, ma di qualunque malattia abbia sofferto essa ha dilaniato il suo spirito oltre che il suo fisico, già fragile all’apparenza. Le sue spoglie non saranno certo trasportate dalle onde ma riposeranno nella sua terra. Le onde che recheranno a tutti il suo canto saranno quelle del web. Anche i millennials lo conoscono e alcuni testi come la cura, non appartengono già da tempo al solo autore ma sono patrimonio delle nostre emozioni.

Per noi babyboomers è un altro pezzo di vita che se ne va. Tristezza, malinconia per lui e per noi. Ma Battiato diceva:

La cosa più importante è ricordare di non essere tristi o depressi, non ve ne sarebbe motivo. Bisogna mantenere piuttosto l’atteggiamento di un viaggiatore che ritorna a casa. Tutti, più o meno, siamo prigionieri delle nostre abitudini, paure, illusioni. Le sofferenze dovrebbero indurci ad abbandonare l’ego, che chiude la strada del ritorno alla nostra natura divina. (da “Attraversando il bardo. Sguardi sull’aldilà”)

Non sarà certo Orfeo, ma gli è molto vicino.