Foto by Università degli Studi di Napoli Federico II
1.Una definizione
Il termine “rigenerare” in lingua italiano significa “far rinascere”. In biologia indica la capacità di ricostituire parti di un organismo. Trasponendo ciò al contesto urbano, la rigenerazione urbana può essere vista come un processo di cura della città‑organismo, che si traduce in una serie di interventi volti a rivitalizzare e sostenere i tessuti urbani, con un’attenzione costante alla sostenibilità (declinata secondo il profilo sociale, economico ed ambientale).
La rigenerazione si attua prevalentemente operando azioni di recupero di infrastrutture e servizi già esistenti. L’obiettivo è duplice: promuovere la sostenibilità ambientale riducendo il consumo di suolo e restituire spazi rinnovati. Quindi rigenerati per la collettività, potenziando la qualità della vita su livelli sociali, economici e ambientali.
Va chiarita la differenza tra rigenerazione urbana e semplici interventi di riqualificazione o restauro: non si tratta solo di consolidare fabbricati degradati o rendere più gradevoli spazi urbani, ma di trasformare radicalmente la destinazione d’uso e l’identità complessiva dello spazio urbano, tentando di rispondere a nuove esigenze, contrastando il consumo di suolo – non più sostenibile – .
L’obiettivo della riduzione di suolo, determinato anche dalla stagnazione demografica, tende a porre attenzione alle periferie, ordinariamente in declino, attraverso proposte progettuali che coniugano interventi sull’esistente e del riuso intelligente del costruito. Questo è un approccio ricorrente, almeno nelle intenzioni, ed in alcuni casi anche con risultati felici.
Sono emblematici alcuni esempi citati da A. Bianchi: il Lingotto di Torino (da fabbrica a centro multifunzionale), la Centrale Montemartini a Roma (da impianto elettrico a museo), il quartiere Vauban a Friburgo (da caserma a modello di ecosostenibilità), la Gare d’Orsay a Parigi (da stazione a museo). In questi casi si è realizzata una vera e propria reinvenzione dello spazio, assegnandogli un’identità e una funzione completamente nuove.
Tuttavia, la rigenerazione urbana non segue un modello standard, ma si adatta al contesto, valorizzando il coinvolgimento attivo della comunità: cittadini, associazioni, imprese locali, stakeholders, professionisti del settore ecc., che diventano, quindi, parte integrante del processo.
Ma la rigenerazione urbana è anche uno strumento utilissimo a promuovere l’inclusione sociale, atto a stimolare, in termini generali, gli aspetti culturali, economici, ambientali, estetici ed anche, laddove possibile, il branding territoriale!
Rigenerare significa, pertanto, trasformare immobili o ambiti urbani in luoghi più vivibili, inclusivi e sostenibili, rispondendo ai bisogni attuali senza mettere in pericolo il futuro. Questo agire viene identificato e riconosciuto da alcune espressioni ricorrenti di questo ns tempo: smart city, smart living, smart land IA, city brain ecc.
- Le best practices nel mondo
Il termine smart city, tuttavia, viene sempre più declinato in smart living: l’interesse non è tanto nella tecnologia in sé, ma nel suo impatto reale sulla vita quotidiana. L’idea è quella di costruire un ecosistema urbano intelligente e interconnesso, in grado di rispondere in tempo reale alle esigenze dei cittadini e di migliorare la qualità della vita – in un’ottica di sostenibilità ambientale, economica e sociale.
Per valutare quanta smartness abbiano le città, l’IESE Business School ha elaborato il Cities in Motion Index nel 2024, classificando 183 città in 92 paesi. Al vertice si collocano Londra, New York e Parigi. La classifica si basa su 9 dimensioni (e 114 indicatori): capitale umano, coesione sociale, economia, governance, ambiente, mobilità, urbanistica, profilo internazionale e tecnologia.
Londra è al primo posto per il suo ruolo internazionale, l’eccellenza educativa e la pianificazione urbana, oltre che per la forza economica, la mobilità e la governance;
New York vanta un’economia robusta e un grande appeal internazionale (anche se oggi, poter ottenere un visto per ragioni di studio è diventata farraginoso e complicatissimo);
Parigi eccelle nella presenza globale, nelle performance economiche e nei trasporti efficienti.
In Europa, oltre a UK e Francia, emergono anche Berlino (3ª), Oslo (7ª) e Amsterdam (8ª). Negli USA, Chicago e San Francisco. Tra le città al top in Asia troviamo Tokyo (4ª), Singapore (6ª); nelle Americhe sudamericane primeggia Santiago (91ª), mentre in Africa la migliore in classifica è Città del Capo (141ª).
- Le tendenze in Italia
Secondo l’Osservatorio Smart City del Politecnico di Milano, le 14 città metropolitane italiane sono il fulcro dell’innovazione nazionale: circa 21 milioni di abitanti (40% della popolazione) vivono in aree urbane che fungono da laboratorio tecnologico.
Nel secondo rapporto (3 maggio 2023), emerge che, sebbene la maggioranza della popolazione (64%) consideri la smart city come un concetto futuristico, le amministrazioni locali stanno intensificando gli sforzi innovativi. Il mercato italiano delle smart cities ha raggiunto 900 milioni di euro nel 2022, con una crescita del +23% rispetto al 2021, superiore alla media mondiale. Un forte impulso deriva dai fondi del PNRR, con 17,1 miliardi stanziati.
Gli investimenti si concentrano su:
- Smart lighting 24%
- Smart mobility 21%
- Smart grid e comunità energetiche 13%
- Smart buildings e smart metering 12%
Tuttavia, l’adozione risulta frammentaria: molte amministrazioni preferiscono soluzioni consolidate e verticali, che rischiano di creare compartimenti tecnologici autonomi, mentre sarebbe utile un sistema integrato (es. gestione integrata dell’illuminazione basata su AI).
- Le best practices italiane
In Italia, la smart city è ancora in fase embrionale: numerosi progetti sono sperimentali e spesso mancano di una strategia organica, risorse stabili e competenze adeguate.
Secondo l’Osservatorio IoT, i Comuni italiani mostrano:
- bassa maturità organizzativa;
- offerta tecnologica più avanzata;
- scarso utilizzo dei dati;
- collaborazioni pubblico‑private limitate;
L’iniziativa Italian Smart Cities, evoluta in Agenda Urbana dell’ANCI, integra oltre 1.300 progetti urbani innovativi in un database, favorendo condivisione e replicabilità.
Il City Rank 2024 di FPA rileva un miglioramento nella digitalizzazione dei 108 capoluoghi: otto hanno raggiunto lo status full digital (>75/100), altri 30 sono altamente digitalizzati (>50‑75), e altri 22 sono vicini a questo traguardo. Il divario Nord‑Sud pare si stia attenuando grazie al PNRR.
Infine, l’Osservatorio IoT segnala che il 42% dei Comuni con oltre 15.000 abitanti ha avviato almeno un progetto smart negli ultimi tre anni, spesso basato su IoT, Big Data. L’uso dei big data rende possibile la gestione intelligente delle risorse urbane, favorendo la transizione da un modello lineare a uno circolare, più efficiente e meno dissipatore di risorse.
Un esempio significativo è il programma PINQuA (Programma Innovativo Nazionale per la Qualità dell’Abitare), finanziato con 2,8 miliardi del PNRR. Destinato a Regioni, Città metropolitane e Comuni con più di 60.000 abitanti, il programma mira alla rigenerazione urbana e all’inclusione sociale, valutando impatto ambientale e sociale secondo indicatori allineati agli standard UE.
- La City brain: evoluzione della smart city
Ma la smart city si presenta sempre più frequentemente anche con un modello più evoluto riconosciuto come City Brain. Tale modello vede l’intelligenza artificiale (IA) svolgere un ruolo centrale nel coordinamento e nell’ottimizzazione delle funzioni urbane. Si basa su un sistema integrato che raccoglie dati in tempo reale da sensori IoT, telecamere e piattaforme digitali, per gestire in modo efficiente traffico, energia, ambiente e servizi pubblici. Come un cervello urbano, analizza rapidamente le informazioni e fornisce risposte dinamiche per migliorare la qualità dell’aria, ridurre i consumi e prevenire criticità.
A mero titolo di esempio, il sistema può ottimizzare il traffico suggerendo percorsi alternativi o modulare la distribuzione energetica in base alla domanda. L’approccio di governance intelligente sostenuto dalla IA si traduce in città più sostenibili e vivibili, come affermano Giffinger[1].
Le Big Tech – Google, Amazon, Microsoft, Apple e Meta – sono attori chiave nello sviluppo dei City Brain, fornendo infrastrutture cloud, soluzioni IA, piattaforme digitali e dispositivi intelligenti. Tuttavia, il loro ruolo solleva interrogativi etici su privacy e controllo dei dati, a causa del rischio di concentrazione del potere tecnologico con le relative conseguenze che vanno profilandosi.
Qualche esempio di city brain lo troviamo ad Hangzhou (Cina) dove il sistema Alibaba gestisce traffico e inquinamento attraverso analisi in tempo reale, semafori intelligenti e risposte rapide agli incidenti; ma anche a Singapore dove l’iniziativa Smart Nation, usa sensori e big data per gestire traffico, rifiuti, energia e ambiente, e applica IA alla pianificazione urbana, analogamente avviene a Barcellona, Amsterdam, Toronto, Dubai…
- Gli orientamenti che si profilano
Nei processi di trasformazione urbana, la sostenibilità non deve limitarsi agli aspetti ambientali ed economici, ma includere anche quella sociale. Quindi, oltre alla diffusione delle energie rinnovabili, alla riduzione delle emissioni di carbonio e all’economia circolare, è fondamentale promuovere l’inclusione e la partecipazione dei cittadini, puntando a ridurre le disuguaglianze.
Le tecnologie innovative, le smart city, i territori intelligenti (smart land) e i sistemi di gestione urbana avanzata (come le city brain) devono essere sviluppati in collaborazione con università, centri di ricerca e imprese private, soprattutto in Europa.
Le città sono, quindi, chiamate a nuove sfide! Tra queste l’invecchiamento attivo della popolazione, che richiede soluzioni urbane capaci di rispondere a bisogni complessi, nonché l’adeguamento delle infrastrutture, pensate in passato per una popolazione con aspettative di vita più basse.
Per affrontare questi cambiamenti, di sicuro supporto potranno essere:
- Sistemi di mobilità inclusiva, accessibili a persone con mobilità ridotta e agli anziani attivi;
- Residenze intergenerazionali, che favoriscano la convivenza tra generazioni e contrastino la solitudine;
- Spazi verdi e infrastrutture per il benessere, che vedono nel verde e nei percorsi pedonali, strumenti utili a garantire uno stile di vita sano e la qualità di (una lunga) vecchiaia.
[1] Rudolf Giffinger è un accademico e ricercatore austriaco del Politecnico di Vienna (TU Wien), specializzato in sviluppo urbano e regionale. Le sue aree di interesse includono la competitività delle città, la rigenerazione urbana, l’integrazione sociale, il governo intelligente e l’invecchiamento demografico