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Cetara e il suo tesoro

by Federico L. I. Federico
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Siamo a metà Settembre ormai e a Cetara già si possono assaggiare le prime colature di alici, quelle messe a maturare al sole in anticipo, grazie a qualche passa prematura di alici marzaiole. Da metà marzo – intorno alla festa dell’Annunciazione – a metà luglio infatti le alici adulte vengono pescate e lavorate per la colatura. Tradizionalmente, a partire dalla festa della Maddalena. Ora ci tocca un obbligo per i buongustai. In breve, diamo il procedimento della colatura: le alici vengono “scapezzate” e “nzuscate”, cioè decapitate e passate in salamoia; poi le loro interiora vengono lasciate per una giornata all’interno di contenitori con sale marino. In seguito, con tecnica e modalità antiche e uguali da secoli, vengono spostate in altri contenitori di legno, detti terzigni, ma sempre ricoperte di sale e pressate. La lunga “cottura” del preparato è affidata al sole caldo del nostro Meridione. Infine, dopo la prolungata esposizione al sole, il prodotto é pronto.

E gli schifiltosi son serviti. Peggio per loro, perché rinunciano a una bontà culinaria che ci invidia tutto il mondo: il tesoro culinario di Cetara. Se però gli schifiltosi vogliono redimersi sappiano che da dicembre questa salsa sarà finalmente il condimento pronto per gli spaghetti. Addirittura, i cetaresi ne fanno un piatto natalizio: con un po’ di aglio e di prezzemolo. Più semplice di così non si può davvero. E qui chiudiamo con la Colatura di Alici, rendendo omaggio al prodotto tradizionale che muove l’economia di Cetara. D’altra parte, non potevamo evitare di parlare di Colatura di Alici parlando di Cetara

Però noi in questo articolo settembrino della rubrica Touring di Gente e Territorio dovevamo dedicarci a completare il tour estivo delle Torri Vicereali, che nella vulgata sono dette anche Torri saracene. I nostri lettori sanno bene il perché, ormai. Il tour lo abbiamo iniziato un paio di mesi or sono partendo dal Golfo di Napoli e poi siamo entrati nel golfo di Salerno. Qui, dopo essere scampati a stento – e con qualche stratagemma, come Ulisse – alle melodie della Sirene del Capo di Sorrento ci siamo “intalliati” un poco in più lungo le coste rocciose della Divina Costiera Amalfitana, fino a Cetara, terra di confine del Ducato d’Amalfi. Ne valeva la pena.

Inutile però che il lettore a questo punto si vada a cercare il verbo “intalliarsi” su un qualsiasi dizionario di Lingua Italiana.  Si rassegni seduta stante. Intalliarsi è un verbo che appartiene soltanto alla Lingua Napoletana. Ed è di incerta origine linguistica. Essa va dal significato di “mettere radici” a quello di “aliare”, cioè muovere le ali lentamente come i gabbiani e gli altri uccelli marini che quasi “veleggiano” nel vento sfruttandone le correnti d’aria. Ancora peggio è per Cetara. Intendiamo dire che il nome di Cetara – che individuava l’ultimo avamposto abitato, bizantino e amalfitano, prima della costa salernitana e longobarda – non “trova pace” e concordia tra gli studiosi di linguistica.

Alcuni di essi lo fanno derivare dal latino “Cetària”, cioè tonnara o dal termine derivato “Cetàrii”, cioè pescatori di pesci grossi e d’altura (e noi sommessamente saremmo tra questi). Altri invece propendono per il greco “Ketèia” che significa anch’esso tonnara. Insomma, pur sempre di pesci e di mare si tratta, alla fine. Ma studiosi più moderni affermano che Cetara derivi da “caeditària”, cioè un’area disboscata del suo originario manto boscoso “ceduo”, appunto. E non basta, perché altri ancora individuano l’origine del nome Cetara nel “citrus”, cioè il limone che ha dato vita da secoli alla coltura intensiva più peculiare della Costiera Amalfitana.

Il Limone infatti, proveniente da alcune regioni della Cina e dell’India, fu conosciuto già dai Romani e importato poi dal vicino Oriente, dove intanto era arrivato come coltura stabile. In Persiano, infatti, il Limone si chiama Limu, tanto per chiarirci le idee. Ma si sa che poi la diffusione del Limone nell’area Amalfitana si deve agli Arabi i quali, stabilmente insediatisi in Sicilia, ebbero continui contatti con la terraferma del Sud peninsulare e campano in particolare. Nonostante tutto questo giro di ipotesi, tutte rispettabili, il nome di Cetara rimane però un piccolo mistero linguistico irrisolto. E vabbè, ce ne faremo una ragione.

Intanto, una serie di derivazioni certe le conosciamo: la colatura di alici di Cetara è il più diretto discendente del Garum, parente stretto del Liquamen. Altro loro parente di primo grado è l’Allec, il residuo della colatura più solido e pastoso. Questi erano tutti condimenti tipici della cucina romana – vari per consistenza e raffinazione – ma usati un po’ dappertutto: sulle carni, sui pesci e sulle verdure. Per le ostriche e i frutti di mare pare che l’Allec fosse il preferito. Ci accorgiamo solo ora di esserci “intalliati” e addirittura impaniati ancora nella colatura, cavolo! Per la Torre di Cetara lo spazio che ci rimane è poco.

A Buongustai e Schifiltosi indistintamente diamo appuntamento quindi al prossimo articolo di Touring.