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Chi ha vinto in Spagna?

by Giulio Espero
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Per la seconda volta in meno di un anno, e la quarta negli ultimi quattro, domenica scorsa si è votato in Spagna per eleggere un nuovo parlamento. Anche stavolta però non è emersa una maggioranza chiara e definita. Che possa cioè far sperare nella formazione di un governo stabile, in grado di operare per un lasso di tempo ragionevole.

Continua quindi la crisi politica di un importante paese europeo che, dopo la caduta della lunghissima dittatura franchista, aveva vissuto uno splendido sviluppo economico. Ma anche culturale, artistico ed urbanistico. Tanto da far gridare al miracolo tutta l’intellighenzia europea. Soprattutto quella italiana, storicamente alla ricerca di esempi, che vedeva nel modello iberico un riferimento formidabile di democrazia evoluta declinata in maniera mediterranea.

In una recente intervista al Corriere della Sera, lo scrittore Ferdinando Aramburu, acclamato autore del fortunato romanzo Patria, offre una chiave di lettura davvero interessante della Spagna contemporanea. “…a differenza di altre nazioni che hanno avuto lunghi e dolori processi di unificazione, nasce già unita ma inizia a rompersi. I separatismi sotto la dittatura non hanno potuto sfogarsi … Con l’avvento della democrazia sentono che è arrivata la loro occasione, perché la democrazia viene percepita come qualcosa di debole…”

Dicevamo di un risultato elettorale incerto, senza vincitori numerici né a destra né a sinistra. Il PSOE, principale partito di sinistra, ha confermato il primo posto. Ma si registra il trionfo di VOX. Il partito della destra radicale ha più che raddoppiato i suoi seggi, diventando la terza forza politica della Spagna. Nonostante abbia ottenuto il 28,3% dei voti, la formazione socialista guidata dal primo ministro uscente Pedro Sánchez non può assolutamente cantare vittoria. È scesa infatti da 123 a 120 seggi, lasciando la posizione di primo partito in importanti province spagnole. Soprattutto nel nordovest storicamente più conservatore. Gli analisti internazionali battono sul fatto che non era mai successo in Spagna che il partito vincitore delle elezioni ottenesse meno di 123 seggi. Ma soprattutto non leggono la reale possibilità di formare un governo solido e meno ricattabile.

Gli stessi analisti considerano VOX il vero vincitore di questa tornata elettorale. Entrato in parlamento per la prima volta nello scorso aprile, la formazione di ultradestra (come i giornalisti colti amano chiamare i partiti molto conservatori) ha preso il 15,2% dei voti, pari a 52 seggi. Più del doppio di quelli ottenuti sette mesi fa. Ed è diventato la terza forza politica, capitalizzando con ogni probabilità il crescente fastidio dell’opinione pubblica spagnola per l’indipendentismo catalano. Il superamento dello sbarramento dei 50 parlamentari, permetterà al partito guidato da Santiago Abascal di esercitare un potere di veto e controllo dell’attività parlamentare davvero importante.

Se il PSOE non può cantare vittoria, le formazioni della sinistra populista hanno indubbiamente preso un colpo notevole. Unidas Podemos ha avuto il 10,7%, (28 seggi, 7 in meno rispetto a quelli ottenuti ad aprile). Mas País di Íñigo Errejón, già cofondatore di Podemos, ha racimolato l’1,7%, 2 seggi. Non riuscirà a formare un gruppo parlamentare proprio, né a risultare decisivo per la formazione di un ipotetico governo di sinistra.

Per quando riguarda i centristi cattolici del Partito Popolare, c’è da dire che hanno recuperato rispetto alla più grande sconfitta della propria storia (aprile 2019), ottenendo un dignitosissimo secondo posto. 21% dei voti, 88 seggi. 22 in più. Siamo comunque lontani dai fasti di qualche anno fa. Quando, sotto la guida dell’ex primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, la Spagna sembrava davvero poter diventare la guida europea per i cattolici in politica.

Infine, aspetto non da poco, il risultato mai raggiunto prima dagli indipendentisti con 23 seggi. Che però mai come ora appaiono divisi e frantumati in mille rivoli, tanto da non apparire come un blocco unitario in grado di esprimere una politica efficace.

La formazione del nuovo governo appare lunga e tortuosa. Gli esiti restano incerti. II gioco dei veti incrociati è già in atto. Molta sfiducia aleggia tra gli stessi parlamentari eletti. Grave crisi di crescita nella più giovane delle democrazie occidentali europee.