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Civitates e le tappe di una mobilitazione pompeiana

by Federico L. I. Federico
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Presso le suggestive Terme Romane di Baia su iniziativa della “Associazione Culturale degli Apoti” il premio “HOMO CIVICUS FLEGREO 2019” di Pozzuoli per la Cittadinanza attiva e la difesa dei beni comuni è stato assegnato al “COMITATO CIVICO CIVITATES POMPEI”. La notizia formale era attesa vivamente, mentre a Pompei si stanno stemperando gli echi più vibranti della riuscitissima manifestazione del JazzitFest, promossa e portata avanti da Civitates di Luciano Vanni. Un toscano facondo e visionario che è riuscito a coinvolgere trasversalmente interi strati della società Pompeiana intorno alla idea della “Accensione Civica” che ha regalato tre giorni di grande Jazz a Pompei, sostenuti da spontanee offerte e gratificazioni per gli artisti provenienti dall’Italia e dall’Estero.

Appunto Accensione Civica è la azzeccata definizione del fenomeno che nel corso della mobilitazione ha portato alla nascita di una nuova Identità Civica Pompeiana. Una identità mai nata, assente o latitante a detta di molti. Esistente, o soltanto latente a detta di pochi. Di identità mai nata si parlava una sera in cui si decise la nascita del Comitato pro Casa Borrelli che si andava a innestare su un precedente Comitato di pari impegno. Quella sera io fui tra quelli che spezzarono una lancia a favore della tesi della latenza, ma della certa esistenza di una identità pompeiana. Mi soffermai su alcuni dati che sfuggivano ai presenti. Li ripeto su queste colonne a beneficio del lettore, brevemente.

Primo tra tutti, ricordai il fatto che la nascita formale di Pompei come Comune autonomo non vanta nemmeno un secolo di vita. Ma solo poco più di novanta anni, anzi novantuno e pochi mesi, essendo sorto il Comune di Pompei soltanto nella primavera del 1928. Poi sottolineai che il territorio comunale del neoistituito Comune di Pompei fu letteralmente “ritagliato” intorno al Santuario mariano e agli Scavi Pompeiani sottraendo territorio agricolo appartenente a ben quattro comuni differenti. Il sito era già chiamato Valle di Pompei verso la fine dell’Ottocento grazie agli Scavi e al Santuario, già famosi nel mondo. Eppure, era ancora la somma geografica di quattro periferie agricole estreme dei comuni di Torre Annunziata, Boscoreale e Gragnano, nella Provincia di Napoli, nonché Scafati nella Provincia di Salerno. La quattro periferie si fronteggiavano intorno al Santuario e agli Scavi.

I Valpompeiani – i futuri Pompeiani – risiedevano quindi in un’area divisa tra quattro comuni diversi. Ma anche in due Province diverse, perché Scafati apparteneva – e appartiene – a Salerno, mentre gli altri tre Comuni a Napoli, allora come oggi. Conclusi precisando che a questa somma di separatezze si aggiungevano anche due Diocesi diverse: Nola e Castellammare. Quindi un ulteriore e pesante fardello di estraneità, con l’unico vantaggio, se vantaggio si poteva chiamare, del fatto che Scafati apparteneva – e appartiene – alla Diocesi di Nola.

Insomma, un vero e proprio puzzle amministrativo. Ma anche geografico. Il Sarno infatti divideva e divide il territorio in due parti cospicue, rappresentando tra esse anche un palpabile “confine” culturale, tra l’area stabiese a Sud e l’area vesuviana a Nord. Due mondi abbastanza distanti sul piano storico culturale. Bizantino a Nord, Longobardo a Sud.

Quella sera i presenti furono un po’ sorpresi dalle “rivelazioni”, ma riconobbero che era ampiamente giustificato il ritardo della nascita di una identità pompeiana. Essa peraltro, dopo la nascita del Comune di Pompei, era stata ibridata da apporti culturali derivanti dalla immigrazione di interi ed estesi nuclei familiari provenienti dalla Basilicata, dalla Calabria e da altre aree del Meridione. Essi erano attratti a Pompei dai posti di lavoro nascenti dalle sue nuove strutture comunali e civiche, ma certo non potevano aiutare la coesione civica identitaria.

A fronte di queste argomentazioni però Luciano Vanni non si perse d’animo.

Anzi, accompagnato già allora dal giovane e validissimo collaboratore pompeiano Francesco Domenico D’Auria, ribadì la propria fiducia nella possibilità della Accensione Civica pompeiana intorno al Jazzitfest e a Civitates, ipotizzando già allora l’istituzione di una Ludoteca sociale e lanciando la idea di una Fondazione di Comunità.

Il giovane D’Auria gli diede man forte e questo accese la mia curiosità di cronista. Proprio come cronista ebbi quindi modo di incontrare Vanni per un’intervista, che egli mi concesse con disponibilità, quasi fossi un vecchio amico. Io poi scrissi che la forza della sua azione di mobilitazione e di aggregazione dei Pompeiani odierni mi ricordava un po’ quella di Bartolo Longo nell’Ottocento tra i Valpompeiani. Ci fu chi storse il muso e chi sorrise di diffidente incredulità. Ma la ragione era dalla nostra parte, visto che oggi invece più d’uno propone per Luciano Vanni la cittadinanza onoraria.

Intanto però abbiamo assistito a una grandissima mobilitazione collettiva di cittadini pompeiani in Civitates. Davvero inattesa forse da Vanni stesso o dal suo team. E proprio al Team pompeiano di Civitates voglio dedicare questo articolo che chiude idealmente quello pubblicato su Gente e Territorio un paio di mesi fa.

Io però ho avuto modo di conoscere e apprezzare direttamente, tra i tanti, soltanto Francesco Domenico D’Auria e Paola Carotenuto. A loro due ho chiesto di rilasciare qualche dichiarazione che lo spazio a mia disposizione tiranneggia.

D’Auria mi ha detto, tra l’altro: “…sono il primo pompeiano salito sulla sua nave di Civitates e quella nave non l’ho abbandonata mai, neanche durante le tempeste più dure. Ho accettato la sfida del Jazzit non tanto per l’evento in sé ma per la promessa di accensione civica che portava.

E la Accensione Civica, Francesco a che punto sta secondo te? “Ho verificato una ‘ascensione civica’ di alcuni cittadini che al momento formano il gruppo operativo di Civitates, che hanno lasciato da parte i loro impegni quotidiani per donarsi con trasporto unico alla realizzazione dell’evento. Ascensione etica naturalmente. Chiamarli volontari mi sembra riduttivo”.

Fai capire meglio a me e al lettore, Francesco. “Più che volontari siamo stati missionari, lanciando il cuore oltre gli ostacoli. Questa è la prima cosa del Jazzit che mi commuove davvero, la seconda è la musica e i musicisti che ci hanno accompagnato”. E ora dimmi qualcosa dei Pompeiani protagonisti. “Guarda Federico, tu che segui e racconti le vicende di Pompei, sappi che in questi mesi abbiamo conosciuto imprenditori generosi e di talento; alcuni ci hanno praticamente adottato, a partire dai ragazzi di Mercato Pompeiano a quelli dell’associazione APAB – che nomino perché sono stati i primi a crederci. Ma dovrei citare anche tanti altri”.

Lo spazio però è tiranno, Francesco. Tu per concludere puoi dirmi qualcosa sulla Ludoteca sociale e sulla Fondazione. “Certo, la Ludoteca presto sarà una realtà autofinanziatasi con il JazzitFest, ma sono state gettate le basi per istituire una Fondazione di Comunità a Pompei”.

Tra i protagonisti più operativi c’è stata anche Paola Carotenuto, che a me ricorda uno di quei mediani infaticabili che fanno funzionare il centrocampo delle grandi squadre. Superfluo scomodare Ligabue e la sua canzone “Una vita da mediano”.

A Paola, felicemente sposata, ho quindi chiesto invece se sarebbe disposta a ripetere l’esperienza di Civitates, ricevendo in cambio un sorriso disarmante e queste parole, brevi ed efficaci. “Ma certo che lo farei di nuovo quello che ho fatto. Ti confesso Federico che sono arrivata esausta alla fine della esperienza del JazzitFest, ma già mi manca e oggi sono un po’ in crisi perché ho conosciuto tante belle persone che temo di perdere di vista”.

Come cronista aggiungo soltanto che con la Fondazione di Comunità attivata da Luciano Vanni si potrà sperare nella creazione di un Museo Pompeiano nel centro urbano moderno. Esso non vorrà essere il duplicato velleitario e farlocco di un museo archeologico, ma il Museo del Territorio antico e moderno di Pompei.

Di quella PUMPAIA osca che ha dato radici profonde alla grande Pompei preromana e poi a quella romana, che arrivano fino alla Pompei longhiana odierna in un continuo spaziotemporale inesaurito.