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Coronavirus. Milano fantasma

by Luca Rampazzo
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La storia riportata dai giornali è qualcosa che capita agli altri. Non a noi. Magari ci immedesimiamo ma sappiamo che, chiusa la polemica ed il computer, la realtà, solita e cara come vecchie pantofole, è là ad accoglierci. Quando si è al centro della Storia, con la maiuscola, questo meccanismo si rompe. Ma la mente umana è straordinaria. E si rifiuta di accettarlo. L’unica cosa in grado di sabotare questo meccanismo di difesa sono i piccoli eventi. Ieri sera mi sono addormentato presto e cullato da qualcosa di cui non capivo l’origine. Mi sono svegliato nel cuore della notte ed ho capito. Non si sentiva un’auto. Ed è strano, vivo in una delle arterie di accesso a Milano.

Però dalle 18 chiudono tutti i locali. I ristoranti no, ma molti di loro sono come i calabroni, non lo sanno e chiudono lo stesso. Non è spirito di abnegazione alla legge. È mancanza di clientela. Abbiamo improvvisamente capito a cosa servivano le maxi spese di domenica: nessuno vuole più uscire a mangiare. Nessuno è una esagerazione, ovviamente. Però che molti abbiano autonomamente limitato e di brutto la propria vita notturna, questo è un fatto. Ieri sera il mio vicino di casa non è uscito. Credo non succedesse da un anno circa. Milano sta facendo lentamente i conti con la dura realtà: è tutto vero. Siamo in quarantena.

E badate bene, non è questione di colore della zona in cui ci troviamo. È pura psicologia. Siamo gli appestati. I colerosi. Quelli da chiudere fuori. E questa cosa, per i Milanesi, fa malissimo. Perché Milano ha sempre accolto tutti. Noi siamo la metropoli, quella che abbraccia i Cinesi buoni. Quelli coi calzini colorati. Non potete chiudere fuori dalla Basilicata della gente coi calzini colorati. È disumano. Noi siamo rimasti urbani quando gli immigrati scappavano dai centri di accoglienza di Isernia e venivano qua. Anche perché, sotto sotto li capivamo perfettamente. Nessun Milanese è qui da più di tre generazioni (non è vero neppure questo, ma siamo la capitale della narrazione per un ottimo motivo). E ora l’Italia ci rigetta. Non è affatto gentile. E la rabbia sta covando.

Passeggiando per le vie del centro manca qualcosa. Mancano i turisti. Mancano le prenotazioni degli alberghi. Sembrerà un cliché ma ci sono annullamenti di prenotazioni fino al 100%. D’altronde di più è impossibile. Gli autonoleggi soffrono. Persino i tassisti arrivano subito quando li chiami. Una cosa che non succedeva da un lustro almeno. E sono gentili. Nelle periferie è anche peggio. Qui già la gente non era festosa prima. Adesso le facce sono appese. Oggi è grigio. Domani tirerà vento. E intanto le aziende stanno cominciando a mettere in conto le perdite. Che non saranno piccole.

Qualcuno dice che un mese di quarantena ci costerà un punto di Pil. Il governatore Visco non ha dato numeri, ma la preoccupazione era identica. Che poi è la stessa che vedevi sulle facce dei lavoratori delle grandi corporation, in fila per ritirare il portatile ed andare a lavorare, mestamente, a casa. Perché, diciamocelo, signori: a che serve lavorare a Milano se non puoi dimostrarlo con la foto su Instagram ogni mattina del Duomo o di Porta Nuova?