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Depurazione: come funziona? Risponde l’Arpac di Napoli

by Flavio Cioffi
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Quella della depurazione in Campania è una storia antica. Antica almeno quanto la Cassa per il Mezzogiorno, l’Ente statale che si occupò della infrastrutturazione del Sud dal 1951 al 1992 (dall’86 col nome di AgenSud). Fu infatti la Cassa ad analizzare, più di sessant’anni fa, le necessità depurative del nostro territorio anche in rapporto alle prospettive di crescita produttiva e demografica, a progettare gli interventi (tra gli altri il famoso PS3) e a realizzarli. Da allora non c’è più stata alcuna vera pianificazione territoriale su larga scala. Ci si è limitati ad inseguire le inefficienze impiantistiche e gestionali, eseguendo continui lavori di adeguamento degli impianti comprensoriali esistenti. Lavori che sono ancora in corso. Ma con quali risultati? E’ l’Arpac, l’Agenzia regionale per l’ambiente della Campania, che si occupa dei relativi controlli. Ci siamo quindi rivolti a Luigi Cossentino, direttore del Dipartimento Arpac di Napoli, per provare a dare una prima risposta alla nostra domanda.

L’Arpac svolge controlli sulla depurazione per conto di una serie di Enti, a cominciare dalla Regione. Esiste uno specifico incarico?

No, uno specifico incarico no. Ma nel nostro mandato ex lege, per così dire, è compreso quello del monitoraggio delle matrici ambientali. E’ proprio la nostra mission. La Regione, in particolare il Settore del ciclo integrato delle acque, rilascia per ogni depuratore un’autorizzazione nella quale vengono indicati i parametri da rispettare. Noi verifichiamo che lo siano effettivamente, in base ad uno specifico calendario di controlli analitici sulle acque profonde, superficiali e lacuali.

 

Poi ci sono i controlli puntuali che eseguite per conto delle Autorità giudiziarie.

Si, e sono tanti. Vi rientrano anche quelli commissionati dalla polizia provinciale, dai NOE, dai Carabinieri forestali, dalla Guardia di Finanza e così via. Nel 2019, in epoca pre-Covid, ne abbiamo eseguiti 450. L’anno scorso 300/350.

E i Comuni?

Di solito ci chiamano solo in caso di interventi di rewamping (ammodernamento) dei depuratori, per eseguire delle analisi di controllo. Non abbiamo una nostra programmazione, autonoma, di analisi sulla depurazione comunale.

Ma non sarebbe utile concordare con i Comuni un preciso calendario di monitoraggio?

Certo, ma abbiamo un problema di sottodimensionamento del personale. Al dipartimento di Napoli eravamo quasi 50, negli ultimi due anni c’è stato un decremento dell’organico del 52%. La direzione generale sta cercando di recuperare, ma recuperare la metà del personale è complicato.

L’Arpac è strutturata in dipartimenti provinciali. Nel caso della depurazione comprensoriale non potrebbe essere utile una organizzazione territoriale più ampia?

In realtà ci abbiamo pensato. La nostra organizzazione nasce sul modello delle Asl, perché deriviamo dal comparto sanità, per cui è stata mantenuta sul territorio questo tipo di distribuzione. Nel passato si è cercato di creare strutture più connesse, però ad oggi non ci si è riusciti. Ma sarebbe molto utile.

Aldilà dei controlli eseguiti per conto delle Autorità Giudiziarie, quando vengono riscontrate irregolarità cosa succede poi concretamente?

Nel caso di superamento di determinati valori, automaticamente facciamo la relativa comunicazione alla Regione. La Regione a questo punto chiede al gestore dell’impianto di formulare eventuali controdeduzioni e, se queste non sono congrue, viene emessa una sanzione amministrativa. Ovviamente, vengono anche dettate prescrizioni alle quali i gestori devono adeguarsi. Se però gli sforamenti riguardano altri parametri, come i metalli pesanti, allora scatta il penale.

Quindi il meccanismo di controllo funziona.

Assolutamente si. Sui depuratori comprensoriali, poi, metto addirittura la mano sul fuoco che funzioni.

E il sistema depurativo in sé, funziona anche quello?

Sostanzialmente, si. Il trend è in miglioramento rispetto agli anni scorsi, lo vediamo anche dalla qualità delle acque di balneazione.

La situazione migliora, ma per farla diventare “buona” cosa si dovrebbe fare?

Innanzitutto, completare i lavori di rewamping degli impianti. Poi però è necessario anche controllare il territorio per evitare scarichi abusivi. Spesso, infatti, le aziende scaricano sostanze tossiche che quando arrivano ai depuratori ne compromettono la carica batterica necessaria per una corretta depurazione.

Com’è vero. Quanto ha ragione il direttore Cossentino. Puoi realizzare tutti gli impianti che vuoi, ma se poi le aziende scaricano abusivamente nell’ambiente, e questo vale anche per i rifiuti solidi, resta difficile vedere la luce alla fine del tunnel.

Un’ultima domanda. Se la Regione, che è direttamente responsabile della depurazione, non investe sull’Azienda regionale di tutela ambientale dotandola delle necessarie risorse umane, con quale aspettativa di risultato può chiedere ai cittadini comportamenti virtuosi?