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Diritti civili e Recovery Fund

by Gianluca Volpe
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E’ di questi giorni la riunione del Consiglio Europeo per discutere principalmente delle misure da adottare a fronte di questa nuova ondata di contagi da Covid-19 e coordinare azioni comuni per ridurre al minimo le conseguenze della pandemia, pianificando con l’EMA (l’Agenzia Europea per i Farmaci) la commercializzazione dei vaccini già da metà dicembre.

Nonostante la crisi sanitaria stia colpendo tutti i Paesi dell’Unione, ed in ogni nazione i governi locali stiano adottando varie misure di contenimento in base alle varie aree di contagio, a catalizzare l’attenzione della stampa e degli osservatori dei lavori del Consiglio sono stati i Capi di Stato di Ungheria e Polonia; rispettivamente Orban e Morawiecki.

Tra breve i fondi concordati col Recovery Fund, che nel luglio scorso furono approvati dopo una lunga ed estenuante trattativa in Consiglio Europeo, dovrebbero essere messi a disposizione degli stati membri che intanto si sono impegnati nella presentazione dei diversi piani nazionali. L’inserimento del pacchetto di aiuti nel Quadro Finanziario Pluriennale dell’Unione Europea 2021–27 (Mff – Multiannual financial framework) che dovrà essere presentato ed approvato in Parlamento Europeo, sta incontrando l’ostacolo del veto di Ungheria e Polonia.

L’inserimento della clausola per la quale l’erogazione dei fondi è subordinata al rispetto dello stato di diritto, che in un consesso civile e moderno assume un carattere di ovvietà e rientrerebbe tra quelle condizioni contrattuali alle quali manco si fa caso, a quanto pare per il premier Ungherese Orban ed il suo omonimo polacco Morawiecki rappresenta un ostacolo insormontabile tanto da porre il veto.  In realtà, la questione dei diritti civili riguarderebbe una serie di riforme che sia l’Ungheria che la Polonia stanno adottando su questioni molto delicate riguardanti aborto, unioni civili ed adozioni da parte di coppie omosessuali, con un approccio molto conservatore e certamente in contrasto con la “normale” tendenza del resto dei membri dell’Unione. Senza voler entrare nei dettagli delle questioni dette di “diritto”, che però sono di fatto anche morali, i premier di Ungheria e Polonia non accettano la condizione (per loro “ricatto”) che impedirebbe ai loro governi, peraltro democraticamente eletti, di adottare leggi in controtendenza al modello (se vogliamo) unico europeo su determinate questioni, se non a prezzo di vedersi negare i fondi del Recovery Fund  inseriti nel Piano Finanziario Pluriennale.

Questa situazione comporterà certamente ritardi nell’approvazione e nell’erogazione dei fondi che, invece, occorre elargire al più presto per far fronte alla grave crisi economica che l’intera Unione Europea sta vivendo. In realtà le possibili soluzioni non sono molte; o l’eliminazione della clausola sullo stato di diritto dal Recovery Fund o l’accettazione della stessa da parte dell’Ungheria e della Polonia che dovrebbero ritirare il veto. Sicuramente Orban e Morawiecki stanno, anche se involontariamente, facendo il gioco dei così detti Paesi frugali (Austria, Danimarca, Olanda e Svezia) che hanno dovuto subire l’abbandono da parte della Germania del fronte rigorista a beneficio dell’adozione di una politica espansionistica che ha portato all’approvazione di un piano di aiuti ed investimenti senza precedenti in Europa.  Per affrontare e risolvere la questione in modo organico, bisognerebbe fare chiarezza sul perimetro entro il quale gli stati membri dell’Unione possono muoversi nell’adozione degli ordinamenti nazionali rispetto a questioni di “diritti civili”. Se questo perimetro risulta essere stretto (o se vogliamo largo, in base ai punti di vista) per un Paese membro, allora sarebbe naturale che quest’ultimo uscisse dall’Unione, anche perché il Trattato sull’Unione (in particolare l’art. 50) prevede la possibilità di recedere dall’Unione ma non quella di espellere un Paese.  In realtà sarebbe possibile (in base all’art. 2 del Trattato sull’Unione) escludere un Paese dal voto, ma all’unanimità di tutti gli altri membri, e, per la situazione di possibili veti incrociati tra Ungheria e Polonia, anche tale possibilità sarebbe improbabile.  Vedremo nelle prossime settimane come procederanno le trattative ed i negoziati tra i vari capi di Stato e di Governo, che al di là di ogni questione civile o morale, hanno urgenza di ricevere gli aiuti per i quali si sono programmate molte delle politiche già adottate per far fronte alla crisi attuale.