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Dissesto idrogeologico e risorse idriche, cosa prevede il PNRR. Prima puntata

by Giulio Espero
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Il premier Mario Draghi ce lo rammenta nella premessa del PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, firmata di suo pugno. “La pandemia di Covid-19 ha colpito l’economia italiana più di altri Paesi europei. Nel 2020, il prodotto interno lordo si è ridotto dell’8,9 per cento, a fronte di un calo nell’Unione Europea del 6,2 … Ad oggi risultano registrati quasi 120.000 decessi dovuti al Covid-19, che rendono l’Italia il Paese che ha subito la maggior perdita di vite nell’UE … La crisi si è abbattuta su un Paese già fragile dal punto di vista economico, sociale ed ambientale…”

Il Next generation EU adottato dall’Europa, meglio noto in Italia come Recovery Fund (Fondo per la Ripresa), è un programma “di portata e ambizione inedite”, per usare ancora le parole di Draghi. Un Fondo sostenuto con titoli di Stato europei (Recovery bond) per finanziare i recovery plan dei singoli Paesi membri. In Italia, il recovery plan si chiama appunto PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Il PNRR prevede sei missioni, ognuna delle quali a sua volta articolata in componenti. La M2 (Rivoluzione verde e transizione ecologica) contiene, tra le altre, la componente M2C4 – tutela del territorio e della risorsa idrica cui sono destinati 15,06 miliardi di euro.

Gli obiettivi generali sono:

  1. Rafforzamento della capacità previsionale degli effetti del cambiamento climatico tramite sistemi avanzati ed integrati di monitoraggio e analisi (0,50 mld);
  2. Prevenzione e contrasto delle conseguenze del cambiamento climatico sui fenomeni di dissesto idrogeologico e sulla vulnerabilità del territorio (8,49 mld);
  3. Salvaguardia della qualità dell’aria e della biodiversità del territorio attraverso la tutela delle aree verdi, del suolo e delle aree marine (1,69 mld);
  4. Garanzia della sicurezza dell’approvvigionamento e gestione sostenibile ed efficiente delle risorse idriche lungo l’intero ciclo (4,38 mld).

Guardiamo in maggior dettaglio i punti 2 e 4, ossia dissesto idrogeologico e risorse idriche.

Dissesto idrogeologico. Sono previsti due investimenti: “misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico”, per 2,49 mld, e “interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei Comuni”, per 6,00 mld. Nonché una riforma: “semplificazione e accelerazione delle procedure per l’attuazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico”.

Risorse idriche. Quattro investimenti: “infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico”, per 2,00 mld; “riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua, compresa la digitalizzazione e il monitoraggio delle reti”, per 0,90 mld; “resilienza dell’agrosistema irriguo per una migliore gestione delle risorse idriche”, per 0,88 mld; “fognatura e depurazione”, per 0,60 mld. Due riforme: “semplificazione normativa e rafforzamento della governance per la realizzazione degli investimenti nelle infrastrutture di approvvigionamento idrico” e “misure per garantire la piena capacità gestionale per i servizi idrici integrati”.

L’impianto argomentativo generale sulla tematica ambientale, si fonda principalmente sul cambiamento climatico in atto. La transizione ecologica dovrà da un lato mitigarne gli effetti e dall’altro rallentarne lo sviluppo, con riguardo alle peculiarità del sistema Italia. Peculiarità che vengono individuate anche nella fragilità della conformazione geografica che rende il Paese maggiormente esposto ai rischi idrogeologici.

Programma interessante, soprattutto laddove privilegia l’aspetto ecologico dello sviluppo economico/sociale. Dove, per intenderci meglio, pone l’accento sul recupero e la valorizzazione di risorse esistenti piuttosto che sullo sfruttamento indiscriminato delle stesse. E che questo processo può essere paradossalmente possibile proprio attraverso l’uso massivo di tecnologie avanzate ove il grado di immaterialità e reversibilità è molto alto. Tanto di cappello quindi a chi ha ipotizzato un futuro di crescita per l’Italia senza un ulteriore drammatico consumo di suolo.

E però ci sono alcuni aspetti delle misure specifiche del M2C4 che forse non convincono del tutto.

Identificare, come si legge tra le righe, quale unico nesso di causalità del dissesto idrogeologico il cambiamento climatico, forse non è completamente plausibile considerando il grado devastante di urbanizzazione del Paese. Non dimentichiamo che le esondazioni e le frane sono fenomeni anche naturali e non sempre indotti, spesso il problema sono le case e le strade che non dovrebbero trovarsi lì. Magari si sarebbe potuto cogliere l’occasione per mettere mano (leggasi finanziare) ad un grande piano di delocalizzazione del patrimonio abitativo incompatibile col rischio idrogeologico.

Così come sembra davvero poco stanziare meno di un miliardo di euro (per la precisione 0,6) per fognature e depurazione. La stessa finalità, con riferimento all’intero sistema di approvvigionamento e distribuzione idrica, di ridurre quello che in gergo si chiama water service divide tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno, dovrebbe essere meglio articolata per scongiurare il pericolo di nuove colonizzazioni industriali.

Per non parlare delle riforme, anche in relazione alla scelta, pare di capire in via prioritaria, di utilizzare commissari (cui con ogni probabilità verranno attribuiti poteri in deroga) per l’attuazione degli interventi.

Nei prossimi giorni svilupperemo ulteriormente l’analisi entrando nel dettaglio delle singole previsioni del PNRR sul dissesto idrogeologico e sulle risorse idriche.