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E se la politica facesse un passo a lato?

by Luigi Gravagnuolo
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È di lampante evidenza che l’impianto semi-federale del nostro Stato, così come disegnato nel riformato Titolo V della Costituzione, non è stato di aiuto nella gestione dell’emergenza. Direttive dell’UE, decisioni governative contestate o ricusate dalle Regioni, Sindaci che con proprie ordinanze contraddicevano le une e le altre, e poi Dirigenti delle ASL, Dirigenti scolastici, persino Dirigenti di federazioni sportive, ogni titolare di uno spicchio di potere lo ha fatto valere. Aggiungiamoci le agitazioni dei movimenti negazionisti, che hanno duramente contestato, anche con ‘assembramenti’ di protesta ed iniziative giudiziarie, la legittimità delle disposizioni europee, governative, regionali e comunali.

A fronte di tale confusione – indiscutibile concausa dei lutti patiti – le Procure italiane avranno il loro bel da fare per individuare e sanzionare colpe e colpevoli.

A noi qui interessa piuttosto ragionare su come si possa approfittare di questa drammatica esperienza per mettere ordine nel presente guazzabuglio di poteri e di competenze, onde evitare in futuro, nel caso di malaugurate nuove emergenze, che possa ripetersi la babele che abbiamo sperimentato quest’anno.

La soluzione più semplice, e quella verso la quale tende il sentimento della stragrande maggioranza degli Italiani, sarebbe il ritorno al Titolo V pre-riforma, cioè allo stato centralista. Una catena di comando unica con un solo vertice ed articolazioni territoriali esecutrici dei suoi ordini.

Tornare allo stato centralista è la soluzione più semplice, e forse anche la più veloce da praticare, ma anche quella meno giusta. Me lo chiedo da meridionale, chi ci può garantire che un eventuale governo non accentri le risorse nelle regioni del Nord e che abbandoni di fatto il Sud? Peraltro non sarebbe neanche una novità nella storia d’Italia. Tornare allo stato centralista è inaccettabile.

Eppure, inutile negarcelo, in situazioni emergenziali la permanenza di attribuzioni di poteri a tanti piccoli potentati comporta rischi rilevanti. Ancora maggiori quando questi potentati sono incarnati dai politici e loro diramazioni. Non perché i politici siano antropologicamente peggiori del resto dell’umanità, bensì perché la democrazia è una cosa meravigliosa, ma ha dentro di sé un tarlo da tenere sempre sotto sorveglianza. In essa chi esercita il potere è eletto dal popolo e, nelle emergenze, bisogna prendere decisioni spesso impopolari. Può il politico che vive di voti e di consensi popolari prendere misure impopolari? La risposta sta nella domanda stessa.

Ecco perché in casi estremi la costituzione e le leggi consentono che il potere decisionale venga momentaneamente sottratto alla politica ed affidato a ‘commissari’, cioè a tecnici che, portata a termine la missione, restituiscono al potere democratico le sue prerogative. Attenzione però, anche un commissario che disponga di poteri straordinari comporta un rischio per la democrazia. Il fascismo ed il nazismo dal punto di vista giuridico furono lunghi periodi di commissariamento e di sospensione, non di abolizione dei diritti costituzionali.

Non è facile venirne fuori. Potrebbe aiutare il fattore tempo. Nelle emergenze, per un periodo di tempo limitato e nei limiti di obiettivi circoscritti, i politici potrebbero e dovrebbero fare un passo a lato.

Paradigmatico è stato qualche anno fa il caso dell’ILVA di Taranto. Lì erano in ballo due diritti fondamentali, e riconosciuti come tali dalla Costituzione, quello alla salute e quello al lavoro. La scelta era tra chiudere lo stabilimento, tutelando così l’ambiente e la salute, oppure lasciar continuare l’attività produttiva, salvaguardando il diritto al lavoro a danno della salute dei residenti. I politici dovevano decidere se inimicarsi la popolazione residente o i lavoratori dello stabilimento. Si imballarono.

La querelle, passata anche al vaglio della giustizia amministrativa, civile, penale e costituzionale, trovò infine soluzione agendo sul fattore tempo. In pratica fu attribuito ad un commissario – inizialmente Enrico Bondi, poi Piero Gnudi, infine altri – la gestione di un piano triennale entro il quale l’impresa avrebbe potuto continuare a produrre, ma avrebbe dovuto adeguarsi alle normative ambientali, salvaguardando così nell’arco di tre anni sia il lavoro che la popolazione.

Nel caso della pandemia di Covid-19 sono in ballo diritti e valori altrettanto fondamentali: dalla salute e dal lavoro qui sopra citati, al rispetto del rapporto costituzionalmente definito tra autonomie territoriali ed unità della patria, al diritto all’istruzione, alla libertà dei cittadini e in ultima istanza alla stessa democrazia.

In conclusione, passata questa epidemia e nelle more di una revisione organica della Costituzione, si potrebbe pensare intanto a riformare la legge 225/92, istitutiva della Protezione Civile Nazionale, prevedendo la possibilità per un tempo limitato e limitatamente all’obiettivo di fronteggiare un’emergenza nazionale, di sottrarre al governo nazionale, alle giunte regionali, ai sindaci ed a tutti gli organi da essi nominati le loro attribuzioni costituzionali ordinarie, per affidarle pro-tempore e sotto la sorveglianza del Quirinale ad un commissario, che al termine del mandato ne renderà conto alla giustizia.

Forse immaginare un passo a lato dello stesso Governo nazionale è troppo ardito, velleitario. Ma sarebbe grave se, per mancanza di coraggio o per banale inerzia, ci dovessimo trovare tra tre quattro anni investiti da una nuova emergenza nazionale nel caos istituzionale presente.