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Fase 2. Il nuovo documento tecnico dell’INAIL

by Giulio Espero
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La tanto auspicata Fase 2 dell’Emergenza Coronavirus sta entrando nel vivo. Il quattro maggio è stata indicata quale data per la ripresa delle attività produttive ferme da un paio di mesi a causa del lockdown imposto per arginare il contagio. Anche se, da quello che si apprende dalla stampa nazionale, quasi il 40% delle aziende lombarde ha continuato la propria attività.

L’INAIL, l’organismo nazionale che si occupa, è bene ricordarlo, della sicurezza dagli infortuni sul lavoro e della prevenzione dalle malattie professionali, ha elaborato nei giorni scorsi (23 aprile) un nuovo documento tecnico. Contiene indicazioni per ad affrontare la graduale ripresa in sicurezza delle attività produttive e garantire la di tutela della salute di tutta la popolazione.

È ormai opinione condivisa che la pandemia, che ha visto l’Italia tra i paesi maggiormente colpiti, porterà una serie di cambiamenti nell’ambito lavorativo e sociale con un orizzonte temporale di medio/lungo termine.

In attesa di un ripensamento globale dei luoghi di lavoro e, secondo alcuni, del concetto stesso di lavoro, occorre fornire linee guida uniformi per tutte le tipologie produttive e le dislocazioni geografiche.

Il documento, approvato dal Comitato Tecnico Scientifico istituito presso la Protezione Civile, al quale Inail partecipa, è frutto di un lavoro tecnico di ricerca condotto dall’Inail anche in qualità di organo tecnico scientifico del Servizio Sanitario Nazionale.

Sanità, Sicurezza sul Lavoro e Protezione Civile sembrano rappresentare appunto le direttrici che dovranno giocoforza essere sempre seguite nei nostri prossimi modelli di organizzazione sociale. Il protocollo è articolato essenzialmente in due parti.

La prima parte riguarda la predisposizione di una metodologia innovativa di valutazione integrata del rischio, che tiene in considerazione l’esposizione. Ovvero il rischio di venire a contatto con fonti di contagio per la prossimità connessa ai processi lavorativi.

In breve, Il rischio da contagio da SARS-CoV-2 può essere classificato secondo tre variabili.

Esposizione. La probabilità di venire in contatto con fonti di contagio nello svolgimento delle specifiche attività lavorative (ad esempio: settore sanitario, gestione dei rifiuti speciali, laboratori di ricerca, ecc.).

Prossimità. Le caratteristiche intrinseche di svolgimento del lavoro che non permettono un sufficiente distanziamento sociale (ad esempio: specifici compiti in catene di montaggio).

Aggregazione. La tipologia di lavoro che prevede il contatto con soggetti ulteriori rispetto ai lavoratori dell’azienda (ad esempio: ristorazione, commercio al dettaglio, spettacolo, alberghiero, istruzione, ecc.).

Il punteggio attribuibile alle suddette variabili, in funzione anche delle aree in cui operano gli insediamenti produttivi, delle modalità di organizzazione del lavoro e delle specifiche misure preventive adottate, deve essere processato all’interno di una matrice che individua la classe di rischio (basso, medio/basso, medio/alto, alto) di tutta una serie di attività lavorative e produttive

La seconda parte è focalizzata sull’adozione di misure organizzative, di prevenzione e protezione. Nonché di lotta all’insorgenza di focolai epidemici, anche in considerazione di quanto già contenuto nei precedenti protocolli condivisi.

Particolare attenzione viene posta, oltre che evidentemente alle misure igienico sanitarie in senso stretto, soprattutto alle misure organizzative, ovvero alla gestione degli spazi di lavoro ed alla organizzazione e orario di lavoro.

È bene chiarirlo subito: il documento di cui parliamo è rubricato esattamente “sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione”. Si parla appunto di scenari tutti da valutare e gestire, in vista degli effettivi sviluppi della diminuzione dei contagi, della ricerca scientifica dedicata e soprattutto della ricerca sulle cure e sui vaccini.