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Femicide, indagine sui femminicidi in Italia

by Piera De Prosperis
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Femicide. Nel nome delle donne, indagine sui femminicidi in Italia, è il bel documentario in onda su Sky Documentaries scritto e diretto da Nina Maria Paschalidou. Una produzione dell’italiana Ladoc di Lorenzo Cioffi con Forest Troop, Sky e Al Jazeera International.

Il documentario, di terribile attualità, indaga sull’ondata di femminicidi che continua a sconvolgere il nostro paese in particolare. Non a caso la regista ha motivato così la scelta dell’Italia come set per trattare un fenomeno per altro diffuso ovunque.

“Nel mio nuovo documentario ho deciso di guardare all’Italia, il paese con il maggior numero di femminicidi in Europa. Un Paese in cui resiste una considerazione delle donne come oggetti, con alcuni media che determinano stereotipi negativi, tali che nemmeno Bollywood si immaginerebbe. Tutto ciò accade nel cuore dell’Europa, dove le donne dovrebbero aver vinto la battaglia per i loro diritti anni fa. Con questo film voglio guardare attraverso porte chiuse, e scoprire in che modo l’istituzione della famiglia, insieme a leggi non scritte che governano la vita delle donne da secoli, impediscono alle donne di prendere parola, rendendo così impossibile prevenire la loro morte per mano di ex mariti o compagni.”

Quindi l’Italia come palcoscenico in cui più che altrove in Europa va in scena questo dramma, acuito negli ultimi due anni dalla coabitazione forzata delle coppie che ne ha fatto esplodere contrasti e insofferenze. A differenza del numero di omicidi che nello stesso periodo sono decisamente diminuiti. Dando voce a personalità da sempre impegnate nella lotta per i diritti delle donne, come Laura Boldrini ed Emma Bonino, ma anche ad esperte che studiano le dinamiche dei processi, possiamo trarre alcune conclusioni interessanti che focalizzano in particolare la realtà sociale del nostro paese.

Premesso che il fenomeno si riscontra in tutte le aree dell’Italia senza distinzione tra Nord e Sud, non a caso gli esempi sono tratti da vicende che si svolgono a Verona, Cava dei Tirreni, Messina, Tenno, e che i protagonisti sono trasversali per fasce sociali, una prima riflessione ci consente di sostenere che negli ultimi anni la violenza sulle donne appare più grave ed efferata e che i protagonisti sono sempre più giovani.

Siamo in un momento storico in cui l’atavico machismo fondato sul lavoro fatto dai soli uomini, che relega in famiglia le donne alla sola funzione di mogli e madri, è un lontano, sbiadito ricordo dato lo stravolgimento del mondo del lavoro con la conseguente condizione di precarietà ed incertezza socioeconomica. In Italia permane forte nei giovani maschi la cui famiglia di origine presenta una forte figura materna, qualcosa di irrisolto nei confronti della figura genitoriale femminile. Uomini, assassini delle proprie donne, spesso provengono da nuclei in cui la madre stessa colpevolizza la donna in quanto unica responsabile delle azioni del compagno. Sono cioè le madri che, vittime anche loro di una cultura maschilista, inculcano la stessa mentalità nei figli, cioè la donna scelta come compagna deve essere per il figlio oggetto di proprietà esclusiva. E’ quindi un problema di educazione familiare oltre che di responsabilità della scuola e di informazione dei media. Le piazze sono importanti dice la Boldrini, la partecipazione alle manifestazioni sono un momento di riflessione e di crescita per donne e uomini.

Quante volte nei servizi giornalistici che ci mostrano le drammatiche scene di violenza estrema si intervistano i vicini, i conoscenti e spesso si sente lo stupore nelle loro voci e nei loro commenti. Erano così carini, sembravano una coppia così affiatata. Difficilmente si dice: erano una coppia normale. Perché la normalità non è una categoria che può essere utilizzata a cuor leggero. Quegli uomini potevano essere normali in altre sfere ma non in quella familiare dove la normalità è ben altro.

La voce che ci accompagna in questo viaggio nella violenza di genere è quella di Laura Roveri, un’insegnante di yoga di 28 anni di Verona, accoltellata il 12 aprile 2014 per 16 volte dal suo ex fidanzato. Sorprende e commuove l’equilibrio, la serenità apparentemente raggiunta, la consapevolezza ma anche la grande lucidità con cui Laura ci racconta il suo dramma, la forza con cui fortunatamente è riuscita a salvarsi e l’impegno di sensibilizzazione a cui dedica gran parte del suo tempo. Il suo aggressore è stato condannato a cinque anni ma di fatto dopo 60 giorni ha avuto i domiciliari. La mancanza di certezza della pena dell’orco condiziona le vittime a non denunciare. Ciò avviene solo nel 14% dei casi. Davvero troppo poco.

Le relazioni sono sempre uniche: ho delle spie che si accendono molto più velocemente, oggi per me è meno normale un comportamento di gelosia o lusinga mentre prima era quasi sinonimo di amore per me. In realtà tutto quello non ha niente a che fare con l’amore. Una relazione sana è dove tu stai bene prima, dopo e durante. Quando parlo nelle scuole, con altre donne, con le amiche mi rendo conto che questo non è chiaro per niente. Già dalle scuole dovremmo parlare di relazioni e spiegare quali sono quelle che ci fanno male.

Femicide è quindi un momento di riflessione non banale e non scontato che ci coinvolge tutti, mettendo a nudo l’arretratezza culturale della nostra società, ma indicandone anche delle possibili vie di uscita.