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Gaza, il genocidio ancora non c’è ma…

E se l’obiettivo di Netanyahu fosse la ricerca di un alibi?

by Luigi Gravagnuolo
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Foto by UNICEF Italia

 

Con le parole bisogna andarci cauti. La parola di per sé è una convenzione sociale. Se dico ‘burro’ in Italia o tra Italiani intendo il noto grasso ricavato dal latte. Se lo dico in Spagna o tra Ispanici sto parlando di un asino. La relazione tra un lemma e ciò che esso connota è stabilita dall’uso convenzionale sedimentato che se ne fa in un determinato contesto socio-linguistico. Tale uso convenzionale ha una sua storia, evolve insieme alla società. Lo fa in genere inizialmente dilatando il suo campo denotativo fino ad arrivare, a volte, a cambiare radicalmente il significato originario.

Prendiamo il termine nazismo. Il lemma, fusione (blending) di nazionalismo e socialismo, nasce nel 1920 in Germania ad opera di Hitler. Indicava un’ideologia nazionalista a forte impronta sociale. Poi gli orrori del nazismo al potere fecero dilatarne il significato fino a condurlo nel campo concettuale di ‘feroce dittatura’. In Russia, da tre anni a questa parte, nazismo viene considerato come sinonimo di Occidente, o giù di lì. Qui da noi invece il lemma ha esteso il suo campo denotativo fino a essere usato come un generico insulto: i medici che hanno fatto la battaglia per la vaccinazione anti Covid nel gergo dei no-vax erano dei nazisti.

La parola ‘genocidio’ non è immune da queste dinamiche. Prima del 1944 non esisteva. Blending di omicidio e γένος (popolo), fu coniata ex novo dall’ebreo polacco Raphael Lemkin, che così volle connotare l’Olocausto e lo sterminio degli Armeni ad opera dei Turchi tra il 1914 e il ‘20. Per analogia vi fu poi associato anche l’Holodomor degli Ucraini del ‘35-’37, cinque milioni di Ucraini sterminati da Stalin per essere sostituiti da Moscoviti nelle Oblast dell’Est dell’Ucraina.

Finita la guerra,il termine fu recepito, legittimato e delimitato giuridicamente in sede ONU. Ai sensi della UN Genocide Convention condizione preliminare perché si possa parlare di genocidio è la presenza di un dolo specifico, e cioè ‘l’intenzione’ di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Alla luce di questa premessa vennero poi indicate alcune pratiche genocidarie penalmente perseguibili: uccisione totale programmata di membri di un gruppo; lesioni gravi all’integrità fisica o mentale dei membri del gruppo; costrizione deliberata di un gruppo a condizioni di vita finalizzate a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale (è il caso dell’Holodomor); misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.

Attenendoci alla Risoluzione 260 A (III) dell’ONU, quindi, ai tre genocidi di cui sopra dobbiamo aggiungerne altri: da quello degli Amerindi ad opera dei colonizzatori europei tra XVII e XIX secolo, a quello del popolo Tutsi perpetrato nel 1994 in Ruanda dagli Hutu al potere.

Notiamo bene, in tutti i casi universalmente riconosciuti come genocidi c’è un minimo comun denominatore: i genocidati erano disarmati. Altra cosa sono i massacri di civili perpetrati nel contesto di una guerra. Nessuno ha parlato di genocidio del popolo spagnolo dopo Guernica, o di quello tedesco a seguito dei bombardamenti di Dresda e di Berlino, o di quello giapponese dopo Hiroshima. Nessuno ha parlato di genocidio dei Ceceni a causa dell’invasione e occupazione russa di fine secolo scorso. Pochi parlano oggi di genocidio del popolo ucraino.

E a Gaza possiamo parlare di genocidio? In senso stretto no.

Intanto è in corso una guerra, nel caso specifico dichiarata unilateralmente da Hamas il 7 ottobre 2023. E Hamas è tutt’altro che un gruppo nazionale disarmato. Ha una formidabile organizzazione militare che si è dimostrata capace di contrapporsi con efficacia alla soverchiante dotazione delle armi di Israele. Se poi consideriamo l’intenzione del genocidario di estirpare dalla faccia della terra un popolo, essa non è dichiarata da Israele. Certo, e non da oggi, ci sono gruppi fondamentalisti che esplicitano l’intenzione di eliminare fisicamente tutta la popolazione palestinese dalla Terra Santa, ma sono una minoranza, ancorché oggi determinante per la tenuta politica di Netanyahu. Viceversa è Hamas ad avere nei suoi atti fondativi l’obiettivo del genocidio degli Ebrei della Terra Santa.

E anche in questi giorni Israele, mentre si predispone ad occupare militarmente tutta la Striscia e a deportarne i Palestinesi, parla di misura cautelare per ridurre i ‘danni collaterali’ dell’operazione e di successivo affidamento dell’area ad un protettorato garantito dagli Stati arabi, sotto la cui vigilanza i Palestinesi potrebbero rientrare in patria. Nessuna intenzione genocidaria dichiarata dunque.

Né valgono a definire genocidio i circa sessantamila morti civili, un terzo dei quali bambini. Purtroppo le vittime civili sono una costante dei conflitti contemporanei, dallo scorso secolo ad oggi. L’ONU stima sul 70% i civili uccisi durante le guerre dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi. È la natura della guerra contemporanea che non risparmia le popolazioni civili. Paolo Crucianelli, su Il Riformista dello scorso primo agosto, ha pubblicato una tabella di confronto tra percentuale dei civili uccisi a Gaza nei 21 mesi trascorsi dal 7 ottobre ‘23 ad oggi e altri conflitti degli ultimi decenni. In Sri Lanka nel corso della guerra civile del 2009 persero la vita 70mila civili, il 17,5% della popolazione; in Cecenia tra il ‘94 e il 2000 furono 40mila i civili uccisi, il 10% della popolazione; i 60mila civili di Gaza rappresentano il 2,61% dei Gazesi. Neanche i numeri accreditano l’idea che nella Striscia sia in atto un genocidio.

Ma tant’è, il termine ‘genocidio’ ha dilatato il suo campo denotativo, inizialmente tra gli ambienti pro-pal poi estendendosi a tutto il gergo geopolitico attuale, fino a diventare sinonimo di massacro, o strage. E se questo si sta imponendo come senso corrente della parola dobbiamo pure farci i conti. Senza contare che al genocidio in senso stretto gli Israeliani a Gaza stanno davvero per arrivare.

Volete che Netanyahu e i suoi non sappiano che il tentativo di occupare militarmente la Striscia e di deportarne la popolazione avrà una risposta determinata da parte di Hamas, anche sotto forma di terrorismo? E quando essa ci sarà la reazione di Israele non sarà la decisione di eradicare totalmente i Palestinesi dalla Terra Santa, non solo dalla Striscia? E se non sarà un obiettivo genocidario questo, cos’altro sarà? E se fosse proprio questo, la ricerca di un alibi per consumare un genocidio, l’obiettivo dell’annunciata occupazione di Gaza?

 

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