fbpx
Home City Governance Giacomo Balla e la città futurista

Giacomo Balla e la città futurista

by Ghisi Grütter
0 comment

Dopo la pausa estiva, prolungata fino all’esito delle amministrative romane alle quali il curatore della nostra rubrica – il prof. Alessandro Bianchi – ha partecipato, torna City Governance. La finestra sui nostri luoghi di vita – città, territori, ambienti, paesaggi – si riapre come richiestoci da tanti lettori (N.d.R.)

Alcuni giorni fa sono andata a pranzo nel bistrot Ercoli, nel quartiere romano Delle Vittorie. Questo negozio gastronomico oggi abbastanza costoso, un secolo fa era poco più di una macelleria. Giacomo Balla abitava un paio di portoni più in là di fronte al negozio e spesso mangiava lì. Era nato a Torino nel 1871 e si era trasferito con la madre a Roma a 14 anni dove è rimasto per tutta la vita. Dopo il matrimonio andò ad abitare con la moglie Elisa in via Oslavia, dal 1929 al 1958, dove poi hanno vissuto le figlie Elica e Luce fino agli anni Novanta.

Nell’anniversario dei 150 anni dalla sua nascita, il Museo MAXXI, dopo un accordo stabilito con gli eredi, ha reso possibile la visita all’appartamento e le opere che contiene, congiuntamente alla mostra Casa Balla. Dalla casa all’universo e ritorno. L’appartamento è un vero e proprio laboratorio di sperimentazione fatto di pareti dipinte, di una quantità enorme di mobili, utensili decorati, quadri, sculture, abiti da lui disegnati e di tanti altri oggetti: una sorta caleidoscopio variegato. Oltre alla visita di Casa Balla, Bartolomeo Pietromarchi, il Direttore del MAXXI Arte, e Domitilla Dardi hanno organizzato una mostra di alcune sue opere insieme ad altre, ideate per l’occasione, che sono ispirate alle suggestioni di Casa Balla elaborate da vari artisti contemporanei tra cui Ila Bêka & Louise Lemoine, Alex Cecchetti, Emiliano Maggi e Siniša Ilić e Patricia Urquiola con Cassina.

Il bistrot (enoteca-gastronomia) possiede a tutt’oggi un quadro tardo di Balla – probabilmente donava qualche disegno al posto del conto – che rappresenta quella strada sotto la pioggia, con la fila degli ombrelli di chi va a comprare la carne (La fila per gli agnelli, 1942). Guardando il quadro, appeso dov’è la cassa, ho iniziato a riflettere su quale fosse stata l’idea di città che lui e gli altri futuristi avevano avuto in quegli anni, all’inizio del Novecento.

Il Futurismo nasce come movimento poetico nel 1909 a Parigi per iniziativa di Tommaso Marinetti, e si sviluppa come movimento artistico negli anni successivi dopo l’adesione di alcuni artisti pittori. Nel 1910 Umberto Boccioni redige il Manifesto della pittura futurista e due anni dopo Giacomo Balla e Fortunato Depero il Manifesto della scultura futurista. Movimento fermamente avanguardista, con una decisa rottura con il passato, ha avuto come caratteristiche principali il culto della macchina, del progresso tecnico e della velocità e come obiettivo la creazione di un nuovo canone di bellezza, il “dinamismo universale”. La realtà urbana è spesso protagonista delle rappresentazioni pittoriche, studiata e approfondita nel suo continuo divenire e nella sua incessante trasformazione. Inoltre, i pittori dell’epoca avrebbero voluto porre, in qualche misura, lo spettatore al centro del quadro facendolo diventare soggetto della rappresentazione e non più utente passivo.

Il mito del progresso ha spinto gli artisti dell’epoca a un rinnovamento globale, non solo nella pittura ma anche nella vita sociale e politica. I futuristi, Giacomo Balla incluso, si soni cimentati in vari campi: dalla letteratura alla musica (Balla ha studiato violino prima di diventare pittore) dalla fotografia alla cinematografia (basti ricordare le famose immagini del cagnolino in movimento in Dinamismo di un cane al guinzaglio del 1912). Molti artisti venivano dal divisionismo con esperienza e padronanza della suddivisione del colore: Umberto Boccioni, Carlo Carrà e, per l’appunto, Giacomo Balla.

Nel 1914 Balla firma il manifesto futurista Le vêtement masculin futuriste la cui versione italiana è corredata con figurini e modelli. Non dobbiamo dimenticare che sia la madre sia la moglie di Balla erano sarte, quindi l’attenzione ai vestiti trovava anche un’abile sponda tecnica.

L’abbigliamento ha avuto una grande svolta in tutta Europa e pochi anni dopo Adolf Loos, sostenitore dello “stile all’inglese”, pubblicherà a Vienna Parole nel vuoto (1921), una raccolta di scritti dove il vestiario ricopre un ruolo importante (anche se in uno stile minimalista diverso e diametralmente opposto). Quello di Balla è un invito ad adottare l’estetica futurista anche nel guardaroba, sostituendo il vecchio e cupo abbigliamento maschile con uno più dinamico, asimmetrico e variopinto, che rompa con la tradizione e si proietti verso la modernità in modo, contemporaneamente, aggressivo e festoso. Con lo stesso spirito ha trasformato, appunto, la propria abitazione romana decorando le pareti e i mobili in un tripudio di forme dai colori smaglianti.

Nelle opere di Giacomo Balla le sovrapposizioni e le compenetrazioni di rette e di curve evocano il dinamismo e il lavoro in città come in Profondità dinamiche del 1909 e in Velocità dell’automobile del 1913, mentre il quadro La giornata dell’operaio del 1904 è ancora di sapore divisionista. Il dipinto Velocità dell’automobile è un olio su tela che appartiene ad una serie di quadri iniziata dall’artista tra 1913 e il 1914. Questi dipinti avevano come tema centrale la scansione della velocità dell’automobile, che Balla studiò e raffigurò in diversi formati. Il movimento meccanico dell’automobile, fu per il pittore torinese un elemento essenziale per rappresentare la velocità secondo i concetti teorici del Futurismo. Nel resto dell’opera la scomposizione della velocità avviene secondo una successione dinamica, che inizia e termina in tante linee che s’intersecano. Il tempo, altro tema caro a Balla, è scandito in un accelerarsi d’istanti, che si sovrappongono attraverso ampi triangoli in superficie e in profondità.

Nel 1915, ancora insieme a Fortunato Depero, firma il manifesto Ricostruzione futurista dell’Universo dove sostiene che il dinamismo pittorico e il dinamismo plastico si collegano alle “parole in libertà”. Queste, dette anche Paroliberismo, consistono in uno stile letterario in cui le parole che compongono il testo non hanno legami sintattici-grammaticali tra di loro e non sono strutturate in frasi o periodi. Sono così aboliti la punteggiatura, gli accenti e gli apostrofi. I principi e le regole del Paroliberismo erano stati scritti da Marinetti nel “Manifesto tecnico della letteratura futurista” del 1912 e riprese nella “Distruzione della sintassi/Immaginazione senza fili/Parole in libertà” l’anno dopo.

Nel 1921 il poliedrico Balla dipinge anche le pareti del cabaret romano Bal Tic Tac, dove si suona il jazz: un locale alla moda per tutti gli anni Venti, poi chiuso è stato riscoperto pochi anni fa durante la ristrutturazione di un edificio della Banca d’Italia nel quartiere romano di Monti.

In generale la città nel Futurismo ha ricoperto un ruolo importante, basti pensare ai disegni di Antonio Sant’Elia che nel 1914 scrive il Manifesto dell’architettura futurista. Questo architetto, nasce a Como (15 anni prima di Terragni) e inizia subito a occuparsi di edilizia e di disegno di architettura. A Milano frequenta il Caffé Campari e il Caffé Cova dove conoscerà tutti gli altri futuristi. Purtroppo solo tre progetti saranno realizzati; ciononostante la sua visione architettonica e urbana ha influenzato numerosi architetti. L’idea pionieristica di evidenziare gli ascensori in facciata (anziché tenerli nella tromba delle scale) e i suoi disegni della Città nuova hanno ispirato anche parecchi scenografi e registi (da “Metropolis” di Fritz Lang del 1927 a “Blade Runner” di Ridley Scott del 1982). La progettazione dell’ideale “città futurista” viene immaginata in disegni che rappresentano grattacieli in metallo, vetro e cemento. Le architetture sono imponenti e si ergono come “volumi puri” che, al di là della funzione, diventano “monumenti” che celebrano “il trionfo della tecnologia”. Nei progetti urbanistici sono compresi aeroporti, centrali elettriche, ponti e strade a vari livelli.

Nella raffigurazione del paesaggio urbano le variabili della velocità e del tempo si affiancano a quella nota di spazio, non più visto in modo statico ma dinamico, quasi fossero fotogrammi scattati in rapida successione osservando il paesaggio durante una virata aerea. Il tema è la rivoluzione delle “prospettive pittoriche” teorizzata nel manifesto dell’Aeropittura futurista, e firmato nel 1929 dai principali esponenti dell’avanguardia italiana di quegli anni. L’aeropittura diventò negli anni Trenta una sorta di arte ufficiale, grazie anche alle imprese aeronautiche compiute dagli italiani in quegli anni (dalla trasvolata oceanica di Italo Balbo alle vittorie delle competizioni internazionali per idrovolanti civili della Coppa Schneider).

Oggi si torna a rivalutare la produzione tarda di autori che furono maestri e antesignani del Futurismo con particolare riguardo a quella di Giacomo Balla, in qualche modo ritornato alla pittura figurativa negli ultimi trent’anni. Fuori dalla schematica contrapposizione avanguardia/involuzione o futurismo eroico/retour à l’ordre si può affermare che Balla non si sia limitato a seguire la moda, ma abbia saputo sperimentare ancora, agendo sui materiali come in una serie di oli su rete metallica e incollati su tavola come ad esempio il quadro Primo Carnera Campione del mondo del 1933 nella Collezione Cerasi a Palazzo Merulana. In questa fase Balla dipinse diversi autoritratti (Autocaffè) e vari ritratti delle figlie in “pose hollywoodiane”.

A Roma, tra le due guerre vissero e lavorarono artisti, pittori, scultori. Non fu mai una vera “scuola”, nonostante sia stata così denominata, ma in una città non ancora divenuta metropoli quella creatività diffusa aveva i suoi luoghi, i suoi caffè, i suoi atelier (denominata anche La Scuola di via Cavour dove Mario Mafai e la sua compagna Antonietta Raphaël avevano lo studio), le sue riviste, dove molti si incontravano, discutevano e si confrontavano.

Anche per Giacomo Balla Roma è stata una fonte di ispirazione che infatti ritrae in vari punti con l’occhio attento di chi è stato anche fotografo. Vorrei citare in particolare un quadro del 1942 (lo stesso anno de La Fila per gli agnelli) che si intitola La città che avanza e che coglie un cantiere in una parte di città lungo il fiume.

didascalie

  1. Casa Balla in Via Oslavia, Roma
  2. Mostra al MAXXI: tela di Balla e tavolo di Patricia Urquiola
  3. Giacomo Balla Velocità dell’automobile del 1913
  4. Antonio Sant’Elia, La Città nuova del 1914
  5. Giacomo Balla, La città che avanza, 1942