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Il lavoro ai tempi della uberizzazione

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Oggi il lavoro è in crisi, non soltanto per gli elevati tassi di disoccupazione ma perché si sta smarrendo il senso sociale della sua identità. Affrontano il tema tre sociologi internazionali di primario valore (Axel Honneth, Richard Sennett, Alain Supiot) in un libro edito dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli: “Perché lavoro? Narrative e diritti per lavoratrici e lavoratori del XXI secolo”.

Il lavoro non è soltanto mansione, fatica, carriera; è anche realizzazione, identità, riconoscimento. Siamo in una fase di drammatiche trasformazioni. Luciano Gallino ci ha ricordato che – dal 1945 in poi – il diritto del lavoro è stata la cittadella che ha accolto milioni di contadini, braccianti, artigiani ed operai mentre oggi, secondo Zygmunt Bauman, la centralità risiede nella funzione del consumo esercitata dai lavoratori stessi.

Alain Supiot parte da uno studio del MIT (2012) secondo il quale la rivoluzione digitale avrebbe condannato alla disoccupazione interi settori di popolazione. In realtà, la rivoluzione digitale non significa la fine del lavoro, bensì la fine delle categorie di pensiero proiettate dalla rivoluzione digitale sull’agire umano

Oggi assistiamo al fenomeno della uberizzazione, mediante la nascita di nuove reti collaborative che stanno sostituendo gradualmente le aziende di vecchio stampo. Sempre più il contratto di lavoro estromette la figura dell’homo faber con quella del mercante di lavoro e più precisamente con quella di un mercante di se stesso, con sempre meno diritti e con sempre maggiori paure.

Lo sfruttamento del lavoro oggi si basa non più sulla promessa di un arricchimento ma sulla minaccia del declassamento, della povertà e della miseria. Il paradigma del mercato, a sua volta, si è esteso alla democrazia. La Corte Suprema degli Stati Uniti, con la sua ormai famosa sentenza Citizens United, ha così accolto la tesi di Ronald Coase volta a considerare la democrazia come un mercato di idee.

Richard Sennett argomenta che nuove forze – come nuove tecnologie, mercati globali, nuove forme di organizzazione burocratica – stanno deregolamentando l’esperienza delle persone. Tali forze orientano l’attività economica verso il breve termine anziché verso il lungo termine; mettono in discussione la continuità e la durata come obiettivi istituzionali.

Le persone che trascorrono lunghi anni in operazioni fisse e disconnesse, tipiche di un lavoro temporaneo, sentono di non riuscire a sviluppare le proprie capacità professionali, di non riuscire a coltivare alcuna relazione sociale attraverso il lavoro. Si determina un senso di distacco e di deriva. Quando alle persone viene negata una storia a lungo termine con un finale, quando si sentono andare alla deriva, si chiedono a cosa sia servita tutta la loro autodisciplina.

Secondo Axel Honneth si ha la sensazione che la fase di massima espansione dell’occupazione a tempo indeterminato e del welfare state sia stata superata da alcuni decenni. Oggi il lavoro non è in grado di mantenere e garantire un’adeguata fonte di reddito per i lavoratori e per le loro famiglie. In questo modo si determina il collasso della partecipazione alla vita sociale.

La volontà del singolo di partecipare attivamente all’attività politica dipende soprattutto dalla capacità di garantirgli un ruolo corretto e ben definito all’interno di un sistema cooperativo trasparente, che gli dia la percezione di essere un membro prezioso della società.

Si confrontano a tale riguardo due tesi: da un lato quella di Alexis de Tocqueville ed Hannah Arendt, in base alla quale il patto sociale è fondato sulla collaborazione politica di tutti i cittadini, dall’altro quella di Karl Marx e di Emile Durkheim, secondo la quale è la divisione del lavoro a fornire la coesione necessaria tra i membri delle società moderne.

Per Axel Honneth non è la partecipazione al processo decisionale democratico, ma la divisione del lavoro, a detenere il massimo potenziale per generare un senso di coesione tra i membri di una società, e quindi per contribuire all’integrazione di singoli soggetti che sono indifferenti l’uno all’altro.