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Il meteo politico segna burrasca

by Luigi Gravagnuolo
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Nel corso dell’attuale legislatura ogni volta che si è arrivati ai confini dell’ingovernabilità del Paese, è bastato che il Presidente Mattarella abbia minacciato lo scioglimento delle Camere per indurre a più miti consigli i riottosi rappresentanti del popolo. Ma a giorni scatterà il semestre bianco e, fino alla prossima primavera, le Camere non potranno essere sciolte. Tra fine febbraio e inizi di marzo sarà eletto il nuovo Capo dello Stato. Un paio di settimane per le cerimonie dell’insediamento e grosso modo si arriverà a Pasqua ‘22. Di lì in poi ogni giorno sarà di nuovo buono per il tutti a casa e la convocazione dei comizi elettorali. Per poco meno di un anno ancora, quindi, l’attuale parlamento è blindato. Una condizione idilliaca per i partiti per litigare su tutto, marcare i rispettivi territori identitari e rincorrere senza pudore gli umori del ‘popolo’. Prepariamoci ad un’estate rovente.

Beninteso, non è detto che si voterà nel ‘22, la scadenza naturale è il ‘23 e forse ci arriveremo. È piuttosto molto probabile che l’attuale maggioranza anomala che esprime Draghi capo del governo si sfasci. L’unico collante – forte collante – sono i fondi del PNRR che stanno cominciando ad arrivare. Chi li gestirà governerà l’Italia nel prossimo decennio, naturale che ogni forza politica ci pensi cento volte prima di lasciare il governo. Draghi lo sa bene, così, ogni volta che qualche componente del governo tira troppo la corda, glielo ricorda: ‘non è il tempo dei tagli, ma della spesa’ e i recalcitranti si ammansiscono.

Dunque il meteo politico dei prossimi mesi segna turbolenze, temporali e venti tempestosi, ma per ora niente lascia pensare ad eventi irreparabili. A meno che il gioco non scappi dalle mani dei protagonisti. Vedremo.

Intanto, nei prossimi giorni, arriveranno le due prime annunciate turbolenze. Il DdL Zan, la prima burrasca. In questo giro la posizione meno comprensibile è quella del Pd. È di palmare evidenza che il dettato dell’art. 4 è equivoco e si presta ad interpretazioni liberticide: “Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.

Dove stia il confine tra la legittima opinione di un tradizionalista sulla famiglia e sui rapporti tra i sessi e l’idoneità di detta opinione a determinare il concreto pericolo di cui sopra, è lasciato alla libera interpretazione dei tribunali. Per quale motivo una forza politica moderata come il Pd non accetti neanche di discutere su un possibile emendamento chiarificatore di tale testo non è chiaro. A meno che non consideri realistica l’ipotesi di nuove elezioni a maggio ‘22. In questo caso il Ddl Zan, se emendato al Senato, dovrebbe tornare alla Camera col rischio di decadere con la legislatura, e la responsabilità cadrebbe proprio sul partito dell’on. Alessandro Zan. Ve lo figurate cosa accadrebbe se si verificasse una recrudescenza di violenze omofobiche di qui al voto? Chi non ne attribuirebbe la responsabilità agli affossatori del DdL? Fatto sta che, salvo resipiscenze last minute, martedì prossimo, il testo andrà in aula al Senato. Sarà chiesto il voto segreto – bastano venti senatori – e forse sarà bocciato. In questo caso, sparati un po’ di fuochi a salve, potrebbe riprendere il dialogo su un testo alternativo, che sul piano politico sarebbe poi la soluzione meno traumatica. Se, viceversa, dovesse essere approvato si porrà un problema molto serio di compatibilità di Salvini & C. nella stessa maggioranza col Pd.

L’altra burrasca all’orizzonte è la crisi del M5S, cosa serissima in quanto il MoVimento è ancora la forza maggioritaria in Parlamento. Se si dovesse spaccare ed una parte consistente dovesse abbandonare il governo, i numeri per Draghi verrebbero meno, o quanto meno si assottiglierebbero di molto.

I vivaci dirigenti del MoVimento, dopo essersene fatte e dette di tutti i colori – tanto per citarne una, Marco Travaglio, che ha dato a Grillo, sedicente Elevato, del delirante, innominabile, affetto dalla sindrome di Ceasescu, e altre carinerie – ora hanno nominato sette saggi per risolvere i loro problemi. Che poi derivano tutti dall’allegra ingenuità con cui nei primi due anni di questa legislatura si sono dati da se stessi bastonate sui cabasisi.

Non ci voleva molto a capire che, riducendo il numero di parlamentari e mantenendo il divieto delle candidature dopo due mandati, l’80% della classe dirigente che pure hanno faticosamente costruito, sarebbe stata cancellata dalla politica nazionale. Naturale che costoro cerchino una via di fuga, o di salvezza se si vuole, che potrebbe essere la fuoriuscita dal MoVimento e l’adesione ad un altro partito già esistente, ovvero il tentativo di formarne uno nuovo dalle ceneri del vecchio M5S. Anche qui il meteo politico segna temporali e venti burrascosi con rischio elevato. Rischio però, non certezza.