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Il piano investigativo sull’inquinamento del fiume Sarno

by Flavio Cioffi
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Ancora il Sarno e i suoi canali. Ancora il gravissimo inquinamento del fiume e di tutta la rete idrica connessa. “Una cloaca a cielo aperto”, come ci ha detto la dottoressa De Majo dell’Arpac che si sta occupando della questione insieme ad altri tecnici dell’Arpac. Però c’è una novità: la magistratura si è organizzata ed ha avviato un imponente piano investigativo per risalire alle fonti dell’inquinamento. Centrale il ruolo dell’Arpac in questa attività sinergica con le forze di polizia e le Procure interessate. Teresa De Majo segue con la consueta dedizione questo lavoro.

Dottoressa De Majo, come nasce questo piano?

Lo scorso giugno, a seguito dello specifico protocollo d’intesa fra le Procure di Torre Annunziata, Avellino e Nocera Inferiore, i tre Capi di queste Procure hanno inviato al Direttore Generale dell’Arpac, Stefano Sorvino, una richiesta di collaborazione tecnica da parte dell’Agenzia per fronteggiare la situazione di emergenza creatasi. Si tratta di risalire, partendo dai dati analitici in nostro possesso derivanti dalle attività di monitoraggio dell’Arpac e relativi alle acque superficiali del fiume, alle cause dell’inquinamento. Il Dott. Fragliasso, Procuratore Capo di Torre Annunziata, ci ha chiesto: come vogliamo procedere? Abbiamo quindi presentato al Direttore Generale e al Direttore Tecnico, Claudio Marro, un piano investigativo, elaborato da me e dai colleghi di squadra. Nel piano si evidenzia la necessità, da un lato, di estendere i campionamenti anche alle matrici sedimenti, cioè al terreno prelevato dalla rete di canali che afferiscono al Sarno. Dall’altro, di eseguire i controlli sulle aziende che si trovano nelle immediate vicinanze del fiume e dei suoi canali, perché rappresentano le realtà più impattanti dal punto di vista dell’inquinamento antropico.

Come state operando concretamente?

Con attività di sopralluogo e accertamento congiunto con i Carabinieri del NOE, comandati dal colonnello Starace, prima presso le aziende a forte impatto antropico, autorizzate e non autorizzate. Come ad esempio le industrie galvaniche, stabilimenti che utilizzano cromo, zinco e tutta una serie di sostanze pericolose se non adeguatamente trattate negli impianti di depurazione e che scaricano nel corpo idrico superficiale. Ma il problema del fiume Sarno non è limitato agli stabilimenti industriali. Esiste anche quello degli scarichi fognari. Molti Comuni non hanno ancora una rete fognaria collegata ai depuratori.

Quando sono iniziate le attività?

A giugno, appena consegnato il piano investigativo. Abbiamo operato a giugno, luglio e anche ad agosto e stiamo proseguendo. E’ un lavoro che richiederà un bel po’ di tempo. Perché a seguito degli accertamenti presso le aziende, nasce spesso la necessità di implementare le attività. Il piano investigativo, infatti, è un piano di massima e sono già previste ulteriori attività investigative. Non sono ancora ufficiali, però le anticipo che abbiamo già proposto al dott. Fragliasso alcuni ulteriori spunti investigativi che non abbiamo ancora avuto modo di presentare appunto ufficialmente.

Ma quanto tempo dureranno?

Almeno un paio d’anni. Perché le aree da investigare sono vaste, le aziende sono tante e ci sono difficoltà operative legate alle caratteristiche ed all’accessibilità dei luoghi.

Però avete già ottenuto qualche risultato.

Si, sono stati sequestrati cinque impianti, di cui uno molto grande a Striano, per scarichi industriali diretti in acque superficiali. Cioè gli effluenti non passavano per gli impianti di depurazione, che c’erano, ma non venivano fatti funzionare per risparmiare sui costi.

 

 

Prevede altri sequestri?

Si, certamente. Questi sono solo i primi risultati. Raggiunti peraltro durante il periodo estivo, durante il quale l’Arpac è molto impegnata in altre attività, come il controllo delle acque di balneazione, per cui i colleghi ed io non siamo stati sempre disponibili.

Eppure si tratta di un’attività di controllo del territorio fondamentale. Non può essere potenziata, magari con l’utilizzo di altro personale?

Le attività di indagine non sono attività di monitoraggio. Coinvolgendo più squadre, diventerebbe poi problematica la gestione del dato che deve fare capo a pochi. Per queste attività di polizia giudiziaria purtroppo non c’è una Unità Operativa o una struttura similare. Se ci fosse allora ci sarebbe un coordinatore o un dirigente responsabile. Nelle indagini non serve solo la competenza nei campionamenti e nelle analisi, spesso infatti sono necessarie analisi che usualmente nell’attività ordinaria non si fanno, ma è necessaria una preparazione specifica nelle attività di polizia investigativa. Perché bisogna elaborare il tutto sempre in funzione dell’obiettivo investigativo, che è cosa diversa dalle normali attività di monitoraggio. Questo è il vero problema.