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Il progetto di via Marina e il buon gusto dei Napoletani

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Gli autori Gianluca Marangi e Danilo Iacone sono i progettisti dell’intervento. Fernanda De Maio, consulente dei progettisti.

Cosa era via Marina prima dell’inizio dei lavori di rifacimento? Cosa rappresentava nell’immaginario di napoletani o di viaggiatori che da questa arteria strategica entravano in città, magari per la prima volta? Può un progetto eludere il tema del decoro e della vivibilità per chi abita gli edifici che sorgono lungo la strada? Sarebbe stato meglio limitarsi ad una semplice asfaltata del manto stradale e ad alcuni ritocchi con un po’ di “arredo urbano” spruzzato qua e là? Quanti sono i napoletani che sanno che “il mare non bagna Napoli”, di una delle più grandi scrittrici che Napoli può annoverare, ha luogo proprio in questi luoghi? E ancora, ha senso criticare un progetto di queste dimensioni senza considerare il suo insieme, il moltiplicarsi delle alternative viabilistiche che offre (pedonali, ciclabili, filotranviarie, automobilistiche) o il suo potenziamento come asse verde? Infine che cosa rappresenta il paradigma della sicurezza nel XXI secolo? Che risposte responsabili diamo come progettisti a questo tema facendone un vincolo positivo e non un limite paralizzante?

Chiariamo subito un punto, come progettisti e consulenti del rinnovamento di via Marina siamo lieti di aver scosso le coscienze dei nostri concittadini in materia di assetto architettonico-urbano e viabilistico. Riteniamo, infatti, questo dibattito che da anni attraversa i social non meno delle maggiori testate cittadine, il segnale di un elevato senso del bene comune da parte dei cittadini. Certo ci sarebbe sembrato più interessante partire da interrogativi tipo quelli di questo nostro incipit, i quali, insieme alla considerazione degli edifici notevoli presenti nell’area, al calcolo dei flussi ecc., hanno fatto da premessa e da main stream dei nostri ragionamenti iniziali per dare ordine e regola al gran caos e degrado di via Marina, ma altri e non meno interessanti devono essere stati gli interrogativi da cui sono partiti i nostri concittadini per muovere le loro osservazioni, le loro critiche e qualche volta anche i loro positivi giudizi nell’assistere alle dinamiche di un cantiere sofferto, al quale noi non abbiamo potuto partecipare. Per questo accogliamo, dopo molto tempo, l’invito ad intervenire nel dibattito per ridefinire la cornice entro cui sorge quello, che negli ultimi giorni viene definito il “fungo”, e che noi abbiamo sempre chiamato landmark informativo. Le cronache di questi giorni d’altra parte indicano che il progetto viene seguito, monitorato e misurato con attenzione da semplici cittadini non meno che dalla pubblica amministrazione attraverso gli interventi, per esempio, dell’assessore Mario Calabrese. Per questo ci limiteremo a puntualizzare alcuni aspetti:

– Il tratto di via Marina interessato da questo progetto, era occupato lungo il confine con l’area portuale, ma anche sul lato opposto, spesso abusivamente, da centinaia di obsoleti grandi cartelloni pubblicitari, che ad ogni sostituzione con nuovi manifesti cartacei di ogni tipo (pubblicitari, elettorali ecc.) produceva immondizia, degrado, caos visivo.

– Nessuna città o area metropolitana europea, oggi, usa più le tecniche di comunicazione di cento anni fa sia per le pubblicità a pagamento che per le informazioni e notizie riguardanti la città stessa.

– Esiste un progetto non realizzato, bellissimo e distintosi oltre vent’anni fa con il Premio Cosenza, degli architetti Fabio Dumontet e Fabio Vittoria, per trasformare i Gasometri di via Brin in cinema, inciso nella nostra memoria di architetti, che ha fatto da sfondo a volte inconscio dei nostri pensieri su via Marina.

Il “fungo” sulla nuova rotatoria di via Marina è una risposta a tali questioni e un rimando al mondo industriale che qui si era sviluppato, tanto che nella proposta migliorativa, presentata in gara aveva la forma di un vero e proprio gasometro, trasformatosi poi nelle fasi successive per esigenze normative e viabilistiche. L’altezza del coronamento informativo, su cui andranno collocati i pannelli di ledwall, è anch’essa frutto di un calcolo volto a evitare l’impatto distraente che una occupazione pubblicitaria a livello del suolo avrebbe avuto.

In definitiva il progetto urbano e architettonico per via Marina mira a potenziare con le sue architetture a zero cubatura e i suoi landmark (i filari di palme e il circus) il valore semantico della strada come vettore di flussi (veicolari, ciclabili, filotranviari, pedonali, informativi e pubblicitari). Per questo ogni elemento dell’architettura è non solo se stesso ma parte di un meccanismo/circuito urbano più ampio che mira ad esaltare positivamente l’idea di movimenti differenziati (lineari, circolari, intermittenti) a più velocità. Il circus/fungo è appunto uno di questi fulcri. Una rotatoria non è solo un espediente viabilistico per attenuare l’impatto di una svolta o di un cambio di direzione. Essa può assumere significati più ampi, diventare luogo significativo per marcare un punto in cui si concentrano alcune architetture notevoli del passato (caserma Bianchini, edificio residenziale del gruppo Carlo Cocchia) – e l’altezza libera da ingombri del nuovo landmark mira anche a non impedire ad altezza d’occhio umano o di automobilista la percezione di tali edifici notevoli, e in cui è possibile concentrare informazioni sulla città e pubblicità a pagamento, senza interferire con i flussi e con il massimo livello di sicurezza da garantire. Una rotatoria può assumere la valenza di porta della città, di elemento green di questo giardino di cemento/asfalto e alberature in cui abbiamo voluto trasformare via Marina, senza perdere il suo più autentico significato di elemento ad uso per la mobilità. Con la massima onestà intellettuale questa è l’attenzione con cui abbiamo sviluppato i nostri ragionamenti. Poi esistono i problemi di gusto, ma per definizione questo è un tema soggettivo, su cui esiste libertà di opinione e da parte nostra il massimo rispetto per il buon gusto dei napoletani.