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Il riuso dell’acqua nella filiera idrica

L’impegno dell’Arpac

by Stefano Sorvino
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L’Autore è Direttore Generale di Arpa Campania.

 

L’obiettivo saliente dell’attuale fase storica è quello della transizione ecologica, soprattutto per effetto del “climate change“, dal tradizionale modello, ancor oggi prevalente, dell’economia lineare – fondato sul sovrasfruttamento delle risorse, sulla logica dell’”usa e getta”, sull’iperconsumismo – a quello virtuoso della nuova economia circolare e della ” green economy”. Essa è basata sui criteri del riuso e riutilizzo, del recupero, reimpiego e riciclaggio delle materie e dei prodotti, e quindi di uso efficiente ed ottimizzazione delle risorse naturali, con le loro impegnative applicazioni nei processi produttivi e gestionali oltre che negli stili di vita e nelle condotte individuali e collettive della comunità.

In questa prospettiva il pensiero comune va soprattutto al settore dei rifiuti ed al suo ciclo di gestione, ove la transizione è già significativamente in atto per effetto delle crescenti percentuali di raccolta differenziata con lo sviluppo delle relative filiere (cartoni ed imballaggio, vetro, plastiche, impianto di recupero e compostaggio, ecc.), con la graduale riconversione delle produzioni, l’affermazione del concetto, oggi anche normato, di “end of waste“, ecc. Tuttavia, una fondamentale applicazione dei principi dell’economia circolare potrebbe dispiegarsi proprio nel settore dei servizi idrici con la maggiore implementazione del riuso nella filiera dell’acqua, oggi già previsto ma limitato a percentuali modeste e poco significative.

Infatti l’ampio riutilizzo delle acque, soprattutto di invaso anche per l’idropotabile e depurazione in agricoltura, determinerebbe importanti e molteplici benefici di natura ambientale, oltre che economica e sociale, consentendo di limitare il prelievo dai corpi idrici – soprattutto sotterranei – e di ridurre la troppa intensa pressione sui relativi ecosistemi. La valorizzazione e il diffuso utilizzo di risorse idriche non convenzionali, soprattutto acque reflue urbane depurate, con riutilizzo prevalentemente in agricoltura – il settore più idroesigente – rappresenta un obiettivo sfidante del prossimo futuro. Tuttavia lo sviluppo di tale modalità pone impegnative problematiche gestionali ed infrastrutturali, finanziarie e tariffarie, rispetto all’attuale organizzazione dei servizi, oltre che di controllo per garantire una sicura compatibilità dell’acqua riutilizzata con la salute umana, la salubrità dei prodotti e la tutela dell’ambiente.

Una spinta fondamentale è rappresentata dai cambiamenti climatici in atto con piena evidenza, con l’effetto empiricamente rilevabile della forte riduzione degli eventi di pioggia stagionale – oltre che delle precipitazioni nevose – che produce una generale sofferenza idrica in termini quantitativi ed indirettamente qualitativi. Infatti, com’è noto, la riduzione delle portate fluviali, abbassando il naturale effetto di diluizione, favorisce la concentrazione degli inquinanti nei corpi idrici.

Il problema della penuria si manifesta su dimensione globale ed europea ma anche territoriale e locale. Limitandoci al nostro continente, la scarsità d’acqua costituisce già oggi un serio problema per alcuni Stati dell’Unione, laddove – secondo i dati della Commissione – almeno l’11% della popolazione europea ed il 17% del suo territorio sono colpiti da carenza di risorsa idrica.

In Campania è singolare che persino una provincia come l’Irpinia, storicamente nota come la “regina delle acque” per la tradizionale ricchezza delle sue fonti e del patrimonio idrico, in larga parte vettoriato anche fuori regione, inizi a registrare delle sofferenze nell’approvvigionamento idropotabile sia pure per una serie di concause, tra cui le perdite nelle reti di distribuzione e disservizi gestionali.

È evidente un rapporto di causa-effetto tra cambiamenti climatici e ridotta disponibilità d’acqua: all’aumento di un grado della temperatura terrestre corrisponde, secondo le stime scientifiche, una riduzione del 20% delle risorse idriche disponibili, con l’effetto che – in assenza di provvedimenti e rimedi incisivi- la disponibilità d’acqua globale al 2030 potrebbe ridursi addirittura del 40%.

Su questo tema Arpa Campania può recare un contributo di conoscenze, operando istituzionalmente, tra l’altro, il monitoraggio dello stato, soprattutto qualitativo ed anche quantitativo, delle risorse idriche interne, superficiali e sotterranee, in conformità al quadro regolatorio del Piano regionale di tutela delle acque ed al Piano di Gestione distrettuale dell’Autorità di bacino dell’Appennino meridionale, attività relativa a circa 120 corsi d’acqua superficiali e 80 corpi idrici sotterranei.

Gli esiti del monitoraggio pluriennale, fortemente implementati dall’Agenzia nell’ultimo triennio, registrano in Campania un incremento dei corpi idrici a carattere temporaneo, che passano dall’11% del 2018/20 al 26% del triennio 2021/23 e, nell’ambito di questi, quelli non monitorati a causa della totale assenza d’acqua si sono incrementati dagli 8 del triennio 2018/21 ai 30 del periodo 2021/23.

Ecco perché la realizzazione diffusa di invasi collinari per raccogliere le acque piovane della stagione autunnale – invernale e ridistribuirle in periodo estivo e soprattutto il riuso delle acque depurate in agricoltura, in vari ambiti e con diverse applicazioni, costituisce una risposta necessaria per conseguire l’obiettivo della tendenziale autosufficienza idrica, fronteggiare il sempre più preoccupante deficit di risorse e diminuire la pressione sulle già stressate fonti di approvvigionamento tradizionali.

In particolare il riuso delle acque reflue per integrare il fabbisogno irriguo può favorire anche il miglioramento qualitativo dei corpi idrici, riducendo il carico inquinante nelle acque superficiali, ma è operazione tecnicamente impegnativa e complessa oltre che costosa. Cinque anni fa è stato adottato il Regolamento UE 2020/741 sul riutilizzo delle acque reflue in agricoltura e per l’uso sicuro delle acque depurate nel contesto della gestione integrata, attuato in Italia con la normativa tecnica del decreto ministeriale 185/2023, che ne disciplina le modalità ed i requisiti minimi di qualità da rispettare per le acque reflue all’uscita dell’impianto di recupero.

La necessità di trattamenti di depurazione integrativi e di adeguati sistemi di monitoraggio e controllo e, soprattutto, di sufficienti infrastrutture e linee organizzative, rendono al momento i costi dell’utilizzo delle acque reflue per l’irrigazione ben più elevati rispetto a quelli delle risorse prelevate direttamente dall’ambiente e pertanto – in assenza finora di adeguati meccanismi finanziari, gestionali e tariffari – la pur fondamentale opzione del riuso in Italia ha avuto marginale applicazione.

Oggi in Italia uno degli obiettivi è costituito dalla capacità di elaborare e, soprattutto, attuare adeguati progetti di riuso delle acque reflue per testare, alla dimensione locale, soluzioni tecnologicamente avanzate e che altresì contengano i costi dei trattamenti necessari per conseguire i requisiti qualitativi stabiliti dalla apposita normativa tecnica.

In realtà il riuso delle acque costituisce un importante segmento finale della riorganizzazione del servizio idrico integrato, di cui alla originaria legge “Galli” 36/94 – poi trasfusa nell’attuale Codice ambientale o T. U. A. 152/2006 – anche all’insegna del principio del risparmio idrico, ma tale impegnativo elemento di chiusura del ciclo gestionale ha trovato finora scarsa applicazione proprio per l’inadeguata ed incompleta attuazione della stessa riforma di sistema, nei suoi presupposti di efficientamento e capitalizzazione. La legge del 1994 puntava all’obiettivo del riordino e della ricomposizione orizzontale e verticale del servizio idrico, integrato nella sua interezza gestionale e territoriale, con un gestore tendenzialmente unico per ambiti ottimali, con il conseguente superamento della frammentazione delle gestioni ed alla pianificazione organica per ambiti. La riforma mirava altresì alla imprenditorializzazione e razionalizzazione degli assetti gestionali, attraverso i vari moduli previsti dalla normativa sui servizi della partnership pubblico-privato, della forma interamente pubblica o della concessione privatistica, all’ingresso di capitali e know-how organizzativo, ad un efficiente modello tariffario per generare capacità di investimento oltre la remunerazione dei costi di funzionamento.

La solo parziale attuazione dei criteri ordinatori della riforma, il non pieno superamento della frammentazione delle gestioni a causa di troppi assetti salvaguardati ed affidamenti provvisori, la lentezza dei passaggi per “stop and go”, i ritardi procedurali e la resistenza dei radicati interessi preesistenti, la mancata piena apertura alla competizione concorrenziale per l’ingresso di energie e risorse private, la difficoltà di realizzare le necessarie ottimizzazioni in scala ed il conseguente modello tariffario hanno impedito che si dispiegasse, con tutte le sue potenzialità innovative, il servizio imprenditorializzato con le sue ricadute positive anche sulla filiera del riuso dell’acqua.

Nello specifico Arpac istituzionalmente svolge a monte le attività di controllo e monitoraggio della qualità delle acque superficiali e sotterranee, attraverso la rete delle stazioni di rilevamento, e a valle i controlli sulle acque idropotabili in combinato disposto con le ASL – oltre ad attività in collaborazione con i soggetti gestori – sulle acque di scarico della depurazione e di quelle reflue depurate finalizzate ad uso irriguo in agricoltura.

In Campania non risultano significative applicazioni ma le Aree analitiche dei Dipartimenti provinciali di Arpac effettuano comunque analisi di campioni di acque destinate ad uso irriguo su colture alimentari per verificarne la conformità qualitativa alla normativa tecnica di riferimento. L’Agenzia partecipa inoltre ad un tavolo tecnico regionale attivato per regolamentare le procedure di attingimento d’acqua per fini irriguo in funzione della qualità ambientale e della compatibilità con la destinazione d’uso e risulta che l’ambito distrettuale Sarnese Vesuviano abbia redatto il Piano di riuso delle acque reflue depurate 2024/29.

Inoltre, nell’ambito del tema del reperimento di nuove fonti per aggregare risorse alternative ed aggiuntive finalizzate al conseguimento dell’autonomia idrica, la Regione dal 2024 ha affidato ad Arpac il monitoraggio della qualità delle acque degli invasi regionali, sia per l’estrazione di risorsa potabile che per valutarne l’uso irriguo, ai sensi del Dlgs 152/2006.

In questo ambito è svolto il monitoraggio, con frequenza mensile, per il bacino di Conza e si prevede analoga attività per gli invasi di Campolattaro, Carmine e Piano della Rocca per acque di cui è certo l’uso potabile futuro. È stata invece richiesto ad Arpac l’avvio del monitoraggio di indagine, a fini ricognitivi e con cadenza periodica, per una serie di invasi maggiormente significativi, tra quelli per i quali il vigente Piano di Tutela delle acque riporta la designazione “solo potenziale” alla produzione di acqua potabile (e non la loro ufficiale destinazione a tale uso).

In definitiva il sottosettore del riuso delle acque, inquadrato nella più ampia filiera dei servizi idrici, oggi appare un ambito di nicchia per la sua limitata dimensione quantitativa. Eppure esso dovrebbe e potrebbe costituire, con le sue straordinarie potenzialità, un nuovo ed importante orizzonte per ricalibrare in modo più sostenibile il governo delle risorse idriche e la gestione dei loro usi in una prospettiva realistica di crescente scarsità ed in ottica positiva di implementazione di segmenti di economia circolare.

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