Foto by Consiglio regionale delle Marche
Voto delle Marche. Cerchiamo di andare oltre il suo valore simbolico – sul quale comunque torneremo – e partiamo da pochi dati, dei quali arrotonderemo le cifre per semplificarne la lettura.
Il totale degli aventi diritto al voto nella regione è di 1milione e mezzo circa, ivi compresi i 152mila residenti all’estero e iscritti all’AIRE. Sul piano nazionale poco più di un test dunque. Ma, pur se con una valenza limitata, è singolare la coincidenza pressoché totale dei risultati per le liste con i dati dei sondaggi nazionali condotti dai maggiori istituti di ricerca. Vediamo.
La media dei sondaggi nazionali relativi alla settimana 21-27 settembre – così come elaborata da Termometro Politico – dà FdI al 29,5% e la Lega e Forza Italia quotate entrambe all’8,9%. Nel Campo Largo il Pd è dato al 21,8%, il Movimento 5 Stelle al 12,8%, Verdi e Sinistra al 6,5%. Infine Italia Viva è apprezzata al 2,4%, mentre Azione e +Europa sono rispettivamente al 3,2% e all’1,7%. Mettendo insieme i tre gruppuscoli di centro fanno il 7%.
E vediamo il risultato delle Marche: FdI ha preso il 27,5%, FI l’8,5 e Lega il 7,3. Se ci aggiungiamo i voti racimolati dalle civiche a sostegno di Acquaroli, nelle quali hanno trovato posto per convenienza elettorale anche alcuni candidati dei partiti maggiori, stiamo esattamente sui valori dei sondaggi nazionali.
Passando al Campo Largo, il Pd ha ottenuto il 22,5%, l’Alleanza Verdi e Sinistra il 4,5%, la lista Matteo Ricci Presidente, nella quale confluivano i renziani ed altri centristi, il 7,34, il M5S il 5%. Se si vede bene l’unico scostamento significativo rispetto ai sondaggi su base nazionale è quello dei 5Stelle, il cui risultato è decisamente deludente.
Restando ai dati, qualche parola va spesa sull’astensione. Hanno votato 650mila residenti nelle Marche su 1milione 350mila aventi diritto al voto, quindi la metà. Se però conteggiamo nell’elettorato attivo anche i 152mila residenti all’estero, ha espresso il proprio voto solo il 43% degli aventi diritto. Le schede bianche e nulle – al momento in cui scriviamo non ancora conteggiate e registrate sul sito del Mininterno – dovrebbero essere superiori al 2%. Dunque solo il 41% di coloro che avevano diritto al voto ha espresso la sua preferenza.
Molti si interrogano ora su questo dato, peraltro coerente col trend degli ultimi decenni in tutto l’Occidente. L’astensione è da sempre una stazione di transito. Chi è stato sempre da una parte e non se ne sente più rappresentato, prima di arrivare all’altra sponda si astiene per uno o due giri. Le dimensioni del fenomeno attuale sono però tali da non potersi attribuire solo a questa dinamica. La realtà è che la società civile occidentale si è da tempo emancipata dalla politica, non se ne sente rappresentata né ha alcuna voglia di farsene coinvolgere. Non chiede nulla più alla politica e nulla è disposta a dare. Neanche il quarto d’ora per andare a infilare una scheda elettorale nell’urna il giorno del voto.
Tutto lascia pensare dunque che, se si votasse domani per le politiche nazionali, l’esito sarebbe analogo a quello delle Marche, astensioni comprese. Comprensibile perciò l’euforia della maggioranza di Centrodestra che governa il Paese. Andando avanti così da Palazzo Chigi non la toglierà nessuno. E tutto sommato, ad oggi, è anche giusto che sia così.
Giorgetti si sta rivelando uno straordinario Ministro dell’Economia (mentre scriviamo lo spread è a 85 punti, nel settembre del ‘22 era a 251 e il deficit pubblico è sceso sotto il 3%, con la prospettiva entro fine anno di uscire dalle procedure di infrazione). Idem per l’azione di Crosetto Ministro della Difesa. Economia e Difesa, i due temi più sensibili per gli elettori nell’attuale frangente. Per parte sua la premier sta dando dimostrazione di sagacia politica e capacità di governo. Governo del Paese e anche della sua maggioranza. E gli Italiani in maggior parte si sentono rassicurati dalla sua gestione.
Meno comprensibile la timida autocritica del Centrosinistra. ‘Ci aspettavamo di più, ma pur con i nostri casini andiamo avanti e non cambiamo rotta’. Bene, giusto, orgogliosi e fieri di sé. Ma qual è la rotta? La promessa elettorale di Ricci e compagni nelle Marche è stata: Free Palestine, Viva la Flotilla, no al riarmo dell’Europa e dell’Italia, mandiamo a casa la Meloni. Ma si votava in questa piccola Regione.
Se poi proiettiamo questa ‘promessa elettorale’ su scala nazionale, difficile che la maggioranza degli Italiani possa sentirsene rassicurata. Ma – si dice – nelle piazze ogni giorno manifestano su queste posizioni centinaia di migliaia di persone. E i sondaggi dicono che il 60% degli Italiani sta con la Flotilla ed è Free Palestine. Vero, ma una cosa sono la pietas umana e le piazze, altra cosa le urne. Una persona tranquilla, che vuole essere governata con onestà ed efficacia, si può mai fidare di una coalizione che mette insieme filocinesi, filoputiniani, filoeuropei, assistenzialisti del reddito di cittadinanza, green-oltranzisti, populisti, governisti e vaniloquisti vari?
E poi, per restare nel Campo Largo, si avverte a pelle l’astio personale – sottolineo personale – di Conte e Renzi nei confronti della Meloni. Il loro mantra è che quando c’erano loro a Palazzo Chigi l’Italia era rispettata nel mondo, mentre ora la Meloni fa lo scendiletto di Trump. Un rancore e un desiderio livoroso di tornare là da dove gli elettori li hanno sloggiati, non un’ambizione a governare forti di una visione alternativa dell’Italia e dell’Europa. Tutt’al più ci si batte con insistenza sul salario minimo, rivendicazione sacrosanta, che riguarda però una parte marginale del mondo del lavoro, e sulla sanità, che sarebbe allo sfascio. Ora la sanità è competenza concorrente di Stato e Regioni, alcune delle quali governate dal Campo Largo, ci hanno pensato? Dopo l’annunciata prossima batosta della Calabria, sarà il turno di Puglia, Toscana e Campania. Attaccheranno i propri ‘governatori’ per i rispettivi sfasci della sanità?
Avere una visione alternativa significa altro. Tra fine Ottocento e Novecento la sinistra aveva una visione della società radicalmente alternativa a quella della destra. Poi si divideva su come arrivare al socialismo e sul bilanciamento tra giustizia e libertà. Sulla dipendenza o indipendenza da Mosca. Tra rivoluzionari e riformisti. Ma l’idea di società, il ‘sol dell’avvenire’ agognato, li accomunava. A fine Novecento, implosa l’URSS e finita la Guerra fredda, la sinistra si è trovata costretta a relazionarsi con una realtà radicalmente mutata, con la globalizzazione e la digitalizzazione. Non ha capito né l’una, né l’altra, continuando a crogiolarsi in un antagonismo al mondo moderno tanto nostalgico quanto irrazionale.
Ed ora che – con Trump a Washington, Putin a Mosca, Xi a Pechino e il Governo italiano che si mantiene border-line tra UE e Trump – potrebbe ritrovare una ragione ideale, stenta a riconoscersi senza ambiguità nel campo della democrazia parlamentare e dei diritti della persona. Cioè ad anni luce dai populismi.