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La donna al tempo del coronavirus

by Piera De Prosperis
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Archiviata la festa della donna 2020, archiviate le mimose (ma quanto sporcano con quei pallini gialli disseminati ovunque in casa e schiacciati da scarpe incuranti, prevalentemente maschili), possiamo dire con certezza che nessun giorno è sembrato più strano di quest’ultima domenica. Soprattutto per le donne. Sono state festeggiate? Già questa idea di festeggiare mi sembra peregrina. C’è ancora tanto da fare, tanto da lottare. Porterei le mimose solo al cimitero sulla tomba delle vittime di femminicidio e ce ne vorrebbero tante. Ma l’8 marzo 2020 è stato strano per altro, lo sappiamo tutti. Le restrizioni per il contagio da coronavirus ha portato le famiglie e quindi le donne a riscoprire situazioni e stati d’animo che sembravano ormai desueti. Innanzitutto la compresenza continua in casa con i familiari, gli spazi di autonomia ridotti per tutti e la necessità di cucinare di più, pulire di più, organizzare di più.

Mai come in questi tempi bui in cui si evoca la manzoniana peste o la spagnola o l’asiatica o il colera, la donna ha ripreso quel ruolo di angelo del focolare, garante dell’igiene e della pulizia di casa che rievoca le figure delle nostre nonne.  Nessuna di loro aveva una vita mondana, nessuna usciva con facilità, anzi le mura domestiche sembravano protettive e rilassanti. Non era necessario prepararsi, organizzare i tempi della palestra, del cineforum o del teatro. Una vita all’insegna della monotonia. Eppure a noi faceva comodo pensare che fossero serene. Sicuramente non era così. La rassegnazione diventava una condizione di vita comoda e senza pretese.

Il coronavirus ci sta facendo capire che la donna non può tornare ad essere quella di una volta. Viviamo un’emergenza globale, siamo tutti sulla stessa barca ma il senso di soffocamento è forte, per tutti credo ma per tutte in particolar modo.

Pascal dice Ciascuno esamini i propri pensieri: li troverà sempre tutti occupati dal passato e dal futuro. Il presente non è mai il nostro fine: il passato ed il presente sono i nostri mezzi, solamente il futuro è il nostro fine. In questo modo non viviamo mai, ma speriamo di vivere; e, disponendoci sempre ad essere felici, è inevitabile che non lo siamo mai.

Il presente non è mai il nostro fine e come potrebbe esserlo se il tempo per noi donne non è garantito, protese a soddisfare le necessità degli altri, pur sempre amati?

Se virgo, vidua et mater cioè vergine, vedova e madre erano nel Medioevo i soli ruoli femminili riconosciuti dalla società, in questo nostro tempo, dominato dalla paura del contagio, ad essi se ne affianca un’altra, l’avia, la nonna. Già colonna dello stato sociale in tempi non precari come questo, ora ha un peso determinante: diventa la baby-sitter a tempo pieno, la maestra in sostituzione, la collaboratrice domestica tuttofare che riempie anche il frigo. Almeno prima le nonne la mattina potevano dedicarsi a sé stesse, chiacchierare in palestra con le amiche, prendere un caffè in centro, andare in tutta tranquillità dal parrucchiere. Non c’è più tempo, il presente chiama ai doveri.

Ora che le magnifiche sorti e progressive hanno subito una micidiale battuta d’arresto, noi donne, tutte, auspichiamo che ritorni la normalità. Riprenderci la nostra vita, per quanto ancora insoddisfacente e riprendere il cammino di lotta per la parità che, sappiamo bene, non è per niente raggiunta.  Questo l’obiettivo a breve termine. A lungo termine che sia eliminata la festa della donna stucchevole liturgia di un mondo ancora troppo  maschile